Rieccomi, riemergo da una crisi d’ispirazione (letteraria eh, non podistica

) per raccontarvi della meravigliosa marcia panoramica di Barcis.
Dunque la sveglia suona tardi, troppo tardi x prepararsi in modo serio e coscienzioso… il moroso già sbraita che siamo in ritardo e devo muovermi…

oggi non solo mi accompagna, ma vuole corricchiare qualcosa anche lui. Arriviamo tardissimo, appena in tempo per salire sull’ultimo giro della navetta che porta alla partenza, iscriversi e prenotare il piatto di pasta finale. Lui avvisa che vuole andare piano e mi sprona a lasciarlo indietro. Non me lo lascio ripetere due volte, anche se passo i primi 2 km a ripetermi che sono una stronza e potevo almeno accompagnarlo un pezzetto. Sant’uomo, sa come sono fatta. Dopo poco inizia la prima salita, c’è tanta gente, e si va pian piano perché non sempre c’è spazio per superare i camminatori. Mi godo questo cammino “costretto”, con vista sul lago. Anche se mi ci vuole sempre un po’ per entrare in modalità “montagna”, ossia vai piano, risparmia il fiato, non partire sparata, sei in salita. Non ho ancora esattamente capito come funziona, diciamo così. Mi accodo ad un gruppetto di podisti, e precisamente ad una ragazza, che sembrano più scaltri nel chiedere “permesso” ai camminatori per farli passare, dunque sfrutto l’occasione e gli corricchio dietro. La ragazza l’avevo già notata mentre aspettavamo il bus navetta e così, a pelle, non mi era piaciuta. Se la tirava parecchio. E soprattutto è magrissima, e perfetta. mentre io mi sento assolutamente fuori luogo. e l'invidia è una brutta bestia. Mi fa scattare un senso di competizione brutto e antipatico, della serie inutile che te la tiri, riesco a starti dietro anche con tutta la mia ciccia appresso.

Lo so è ridicolo, ma io questa storia adolescenziale della brutta anatroccola sfigata non l’ho mai superata, e rimane un senso di inadeguatezza costante, che si trasforma nel voler sprofondare dalla faccia della terra di fronte a persone sicure di sé o che se la tirano un po troppo. Alternato al disperato tentativo di far valere qualche pseudo capacità che ogni tanto, cercando bene in me, riesco a trovare. E correre mi sembra davvero l’unica cosa che mi fa sentire in grado di fare qualcosa.

Ad ogni modo, dopo la salita c’è già il primo ristoro a rompere le file dell’allegra processione e dei miei brutti pensieri. Riparto in fretta e ben presto resto nuovamente imbottigliata nel traffico. Addocchio due calze a compressione scure, che stringono i polpacci sottili di un podista sulla quarantina (età a caso, che definisce il prototipo di podista umile e mite che piace a me) che mi ispira istantaneamente un misto di stima-fiducia e amore podistico, da cui l’irrefrenabile bisogno di stargli attaccata come una cozza. Certo, con tutta sta gente questa volta non c’è pericolo di perdersi, ma mi da sicurezza accodarmi a qualcuno che ne sa di corse in montagna, e lo vedi da come sgambetta rapido da un sasso all’altro.

Lo seguo, arrancando parecchio in salita, ma le frequenti soste causa ingorghi mi consentono di raggiungerlo sempre. Il sentiero è un meraviglioso saliscendi nel bosco, alternato a tratti scoperti con piccoli guadi. Ad un certo punto inizia una discesa più ripida e devo frenarmi per stare dietro al mio uomo (che dimenticavo, ha la maglietta gialla). So che la ragazza superfiga mi supererà ma pazienza, tollererò la frustrazione, ormai ho giurato fedeltà eterna all’uomo giallo, e io sono una persona fedele. La ragazza col suo gruppo ci supera e io non sento il bisogno di seguirli. Dopo un po’ però, non riesco più a frenarmi, sento che in discesa ho proprio bisogno di lasciar andare le gambe. Chiedo mentalmente perdono all’uomo giallo e lo supero, pensando tanto mi raggiungi alla prima salita che lì io sono lentissima. Proseguo trotterellando felice nel bosco. Penso che la discesa mi piace proprio un casino. Il sentiero prosegue ancora nel bosco, fino ad tornare per un breve tratto sulla strada, verso il lago. Al bivio x i 13 km proseguo dritta, penso al mio moroso che girerà a sinistra e si accorgerà che ho io i buoni x la pasta. Devo accelerare perché sono a metà strada e ci ho messo già un casino di tempo. Ora il sentiero è davvero fantastico, a pochi metri dal lungolago ma nel bosco, ed è un saliscendi davvero bellissimo. Sono sola, respiro i profumi degli alberi e ascolto gli uccelli. Sono sempre più convinta che nella scorsa vita ero un albero. E’ incredibile quanto io stia bene nel bosco. Spero di tornare qui anche nella prossima vita. Mentre escogito un piano x restare qui, senza tornare alla vita di sempre, inizia una salita parecchio ripida, e istintivamente inizio a camminare. Lo so papà, che x te o le cose si fanno perfette o non si fanno. Ma, se posso dire la mia, con questa storia che o sono perfetta o non valgo una sega mi hai abbastanza rovinato la vita. Quindi pazienza se questa è una corsa in montagna e io sto camminando anziché correre, non mi sento di aver fallito. Sai si può riuscire abbastanza bene anche nelle vie di mezzo. Ecco, penso questo x 4 interminabili km con pendenza +420m circa. Penso che sto facendo una bella camminata nel bosco. Che per imparare a correre in montagna ci vuole tempo, fatica, costanza, che posso essere contenta di me stessa oggi anche se sto camminando. Che non è vero quello che dicevi tu, e qualche senso ce l’ho anche se non sono perfetta. Un ristoro spunta all’improvviso nel bosco interrompendo i miei trip mentali, e rompendo la mia solitudine. Bevo in fretta, non parlo con nessuno come al solito, e riparto. Devo assolutamente muovermi, il mio moroso starà aspettando da ore il suo piatto di pasta, se continuo a questo ritmo non rimarrà niente da mangiare… Dannata disorganizzata ritardataria… ancora non hai interiorizzato il concetto che alle tapasciate se vuoi fare la distanza più lunga devi partire presto?
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Raggiungo per un breve tratto un altro signore in giallo, ma all’inizio della discesa lo supero, è troppo ripida, ed io ho troppa fretta di arrivare. Cerco di stare il più concentrata possibile per non ammazzarmi, anche se dopo una settimana intensiva di minimal il tendine di Achille destro e il metatarso sinistro mi stanno energicamente facendo il gesto dell’ombrello. Pazienza, a questo punto un minimo vi è concesso stallonare. Scendo veloce, concentrata e attenta a non scivolare, che col culone che mi ritrovo in un attimo rotolerei a valle. Il lago è ancora molto in basso, quindi mi aspetta ancora un po’ di discesa… le gambe cominciano a non poterne più. Finalmente arrivo al lago, dovrebbero mancare circa 4km…che però sembrano tantissimi, visto che qualche ora fa ce li hanno fatti fare col bus navetta… sopporto la vergogna di passare così conciata davanti al bar strapieno di motari e dalle rispettive bambine luccicanti, e cerco di ripetermi che sono quasi arrivata. Mammasaura che fatica, manca solo l’ultimo pezzo del lungolago ma le gambe stanno facendo proprio fatica. Addirittura cammino un pezzetto, poi riprendo mossa dal disperato tentativo di trovare al più presto il mio moroso e chiedergli scusa che mi ha aspettato tanto, ma cerano salite impensabili, più in fretta di così non ce l’ho fatta… Una bambina mi sorride e risponde con un ciao caloroso al mio saluto, queste sono le cose che più mi danno energia, e anche stavolta è così, corro fino al tendone con gli occhi che brillano di felicità. Ed eccolo là, che mi tiene un posto e sorride, e dice tranquilla non è tanto che aspetto, ti sei divertita?
tot 23,3 km- 2h45'52"- 1315m dislivello
buona serata a chi passa di qui
