[DIARIO] L'improbabile corridore.

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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

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Quando il bus esce dalla struttura scorgiamo subito Fort Wadsworth, teatro della partenza. Abbiamo ancora qualche decina di metri prima che le porte si aprano e in questo poco tempo vediamo già centinaia di runners muoversi verso il centro del forte. Il bus si ferma, scendiamo e ringraziamo l’abbigliamento pesante, qui a Staten Island forse i gradi sono gli stessi di Manhattan, ma raffiche di vento gelido, brevi, ma improvvise e possenti, si fanno sentire bene e ti danno la sensazione di essere a molti gradi in meno.
Ci dirigiamo anche noi verso il centro del forte seguendo il flusso dei runners, agghindati nei modi più fantasiosi. Riesco a scorgere piumini che devono aver fatto il 1915-18, vestaglie appartenute probabilmente a qualche zia di Churchill o Roosevelt, accappatoi che non indosserei nemmeno sotto tortura. Di tutto, di più. Sono le 7 in punto spaccate quando mi ricordo di guardare che ore sono. Mary ride di gusto quando le racconto le mie vicissitudini notturne con i vari trespoli segna ore. Giusto all’ingresso ci danno dei cappellini di pile, caldissimi, ma dalla dubbia colorazione, un bi colore viola arancio che mi fa chiedere: ma chi gli ha insegnato gli abbinamenti di colore a questi americani? Per fortuna, lo prendo pure io, mi salverà la vita nel post gara. Procediamo, so bene che c’è modo di rifocillarsi anche qui, l’organizzazione è a dir poco sontuosa.
Caffè caldo, thè, acqua, bagels a volontà, biscotti al miele. E mi viene da pensare, ok, 358 dollari di pettorale sono tanti, ci guadagneranno sopra chissà quanto, però, nulla da dire, ripeto, organizzazione strepitosa. Ci danno anche un ulteriore telo per coprirci che male non fa. Mangiamo, è praticamente una seconda colazione, anzi per me pure abbondante visto che di bagels ne mangio due, di biscotti ne mangio 3, e non sono piccoli, una banana, due bei caffè caldi. Finisco che sono proprio sazio. Ma va bene, abbiamo ancora 3 ore e mezza da aspettare. E così ritorniamo un po’ indietro, verso la zona arancione, a noi destinata. Ci sono parecchi prati, ne scegliamo uno un po’ più riparato dal vento, stendo un paio di teli termici a terra e ci accampiamo un po’, decisi a risparmiare più energie possibili. Come copertura usiamo due copertine prese temporaneamente in prestito dall’aereo della Delta Airlines. Giuro che appena posso torno a Malpensa e le restituisco.
E così, i minuti cominciano a passare, tra una chiacchiera e l’altra, osservando il popolo runner che si prepara, chiedendosi il perché alcuni decidano di cominciare il riscaldamento tipo un’ora e mezza prima, entrambi concordiamo sul fatto che dovesse essere per il freddo, perché va bene tutto, ma che ci sia davvero qualcuno così scemo da riscaldarsi 90 minuti prima, e per una maratona poi, no, questo non lo potevamo accettare.
Verso le 9 il caffè doppio, anzi triplo considerando quello dell’hotel, e i vari succhi di frutta reclamano ulteriore spazio che la mia vescica non è disposta a concedere. E allora mi dirigo verso gli innumerevoli bagni chimici. Sono diligentemente in fila quando un botto fortissimo dà il via alla prima partenza. E l’emozione esplode. In me, in quelli che sono in fila con me, in tutto Fort Wadsworth l’eccitazione raggiunge livelli da fuori scala. Lascio la fila, vescica fai la brava, e vado a vedere le migliaia di runner che sono partiti.
Li vedo solo dal basso, sul fianco del ponte e ne scorgo le sagome solo dal busto in su. Mi sembra correre tutti fortissimo. E comincio a sentire che anche i miei valori di adrenalina sono un filo elevati. Vorrei correre subito, adesso, ora, in questo istante. Ma non posso, maledizione. Devo aspettare ancora un’ora e quaranta maledettissimi minuti. Piano piano mi calmo un po’ e torno in fila, la vescica ha ricominciato a bussare delicatamente chiedendo: “Toc toc, ehilààà… c’è nessuno lassù? Guardate che io mollo eh? Poi son affaracci vostri…” Dopo un buon quarto d’ora riesco a tornare da Mary, anche lei ha visto con emozione la partenza della prima onda. “Fra un po’ tocca a noi” le dico. Non mi risponde, muove solo la testa su e giù.
Ora i minuti corrono più veloci, boooooommmm… partita la seconda onda, stavolta, da più vicino, riesco a sentire anche le note di New York New York, sulla prima onda me le ero perse, forse colpa del vento o della distanza. Cominciamo a pensare a quanto prima spogliarsi degli indumenti in più, in fondo ora il sole è già bello alto e si sta benissimo. Ci fermiamo solo un attimo a chiederci, ma qui, se c’è un’edizione con pioggia o peggio ancora, con neve, come fanno i corridori a ripararsi? Non c’è nessuna struttura, nessun tipo di protezione, a meno di soluzioni che non conosciamo fornite dall’organizzazione in questi casi, se piove o se nevica te la prendi tutta. Per ore e ore. Ci guardiamo e ci diciamo, ok, siamo proprio contenti di non averlo scoperto. La mattinata è semplicemente magnifica. Un runner non può chiedere condizioni meteo migliori per correre.
Booooooommmmm… Terza onda partita! Scarica di adrenalina pura! La prossima è la nostra. “Mary, ci siamo, mi sa che dobbiamo, letteralmente, togliere le tende e avvicinarci al corral”. Ci spogliamo, consegniamo come da tradizione le nostre felpe, maglioni e pantaloni pesanti in modo che possano da oggi essere d’aiuto a qualcuno dei bisognosi di NY. E ci muoviamo verso il Corral E della Wave 4 colore arancio. Siamo dentro, migliaia di runners gli uni vicini agli altri. In pace. Allegri. Felici. Ora l’adrenalina lascia educatamente spazio ad un filo di timida emozione. E’ solo perché mi viene anche da ridere nello stesso momento sennò quell’emozione avrebbe generato di sicuro anche una piccola lacrima. Piano piano ci muoviamo. Migliaia di braccia alte armate di telefoni fotografano tutto e un urlo si alza forte quando…
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da JJruns »

Booooommmmmm… è partita anche la quarta wave! Noi siamo molto indietro, quasi tra gli ultimi e quindi lo sappiamo, dovremo aspettare più di qualche minuto prima di passare sotto la partenza. Nove, per la precisione, nove minuti da quando ho sentito il colpo di cannone. Questo per dare un’idea dei numeri in gioco. Ma passano, passano anche questi infiniti nove minuti nei quali il tempo sembra non scorrere mai. Daiii, avanti, devo correre, non ce la faccio più, per favore, andiamo avanti. Ma come sempre, il tempo se ne frega, si prende tutto il suo tempo, appunto. E mi fa passare, ci fa passare sotto la partenza quando è giusto che sia così. Mi giro a sinistra, abbraccio Mary, emozionatissima, ci siamo, ragazza, tocca a noi, in bocca al lupo! E si va. Partiti. I primi metri sono estasi. Alzo gli occhi, il cielo è così azzurro che sembra dipinto e poi il ponte. Non lo capisci da distante quanto è monumentale questo ponte. La prima delle due strutture, quella sul lato Staten Island, mi prende così di sorpresa e mi rapisce così intensamente che incespico un paio di volte nei piedi di chi mi corre davanti. Di nuovo, ma sarà così per tanti e tanti km, mando giù e mi sforzo un po’, cappero, si piange dopo il traguardo di una maratona, non dopo duecento metri dalla partenza. E allora, mi guardo intorno, centinaia e centinaia di runner che si muovono insieme. Tantissimi che si fermano per scattare foto. Mi giro, non si sono più di 500 persone dietro a noi. Siamo proprio partiti ultimissimi. Ma non è per niente importante. Siamo ancora sopra il ponte quando vibra il Garmin per il primo km, passiamo lentissimi in 6:56, ma anche questo non è per niente importante. Anche perché si tratta comunque di partenza in salita e anche un filo impegnativa se affrontata da freddi come lo si è alla partenza. Continuiamo, io e Mary, sempre fianco a fianco. E ci rendiamo conto di essere molto, ma molto più veloci di tutti quelli che stanno correndo con noi. E’ un sorpasso continuo, a volte anche un pochino pericoloso, perché molti camminano e addirittura si fermano all’improvviso. E’ un sorpasso che continuerà praticamente per tutti i 42 km, solo verso la fine qualche runner sorpasserà noi.
Ora, passiamo la sommità del ponte, la successiva discesa verso Brooklyn, la carica emotiva, i sorpassi, il sentirsi così bene in quel sogno cominciano piano piano a farci accelerare. E andiamo, via il secondo km a 5:51, il terzo a 5:23. Le strade di Brooklyn ci accolgono, la gente riversa su di noi un calore e un supporto continuo che non si riesce a spiegare. Dico a Mary che spero non ci siano troppi fotografi in giro, sono sicuro che di avere in faccia un’espressione e un sorriso da ebete che potrebbero un giorno ritorcersi contro di me.
Siamo troppo veloci, lo so bene che questa ondata di emozioni ti fa spingere più del dovuto, non che avessimo mai parlato approfonditamente di una strategia di gara, ci siamo sempre detti di provare a chiuderla tra i 5:50 e 6 min/km di media. E per fare questo dovevamo partire un po’ più lentamente rispetto a quanto stavamo facendo. Perché la maratona è lunga. Lunghissima. E bisogna trattarla con rispetto. E allora, un pochino ci riesco, rallento io che così rallenta anche Mary. Siamo sulla 4 Avenue di Brooklyn, centinaia e centinaia di persone ai lati si sporgono dalle transenne e ti incitano, gruppi musicali sparano migliaia di watt di canzoni che ti portano l’euforia a mille, ma ci riesco, un po’ riusciamo a rallentare. Quarto e quinto km se ne vanno in 5:50 e 5:46. Già meglio. In realtà no. Non sta andando meglio per me. Comincio a provare un sentimento di cui un po’ mi vergogno. Sento che sono praticamente fermo. A quella velocità e in quel turbinio di emozioni mi sento fermo. Mi sembra di passeggiare. Davvero, pianissimo. Non ne avevo bisogno, ma per curiosità cerco conferma nei battiti, guardo il Garmin e mi deprimo un po’, sta misurando tra i 110 e i 115 battiti al minuto. Sono più o meno al 60% della mia frequenza cardiaca massima registrata, in realtà anche meno considerando che la massima reale, come per tutti noi, è sicuramente più alta. Fermo. Ecco cosa continuo a pensare. Sono fermo e ho una voglia di correre spasmodica. Ma ho promesso a Mary che la facciamo tutta insieme, dall’inizio alla fine. Su questo non ci piove. Però, non lo posso nascondere, devo dirlo, in quel preciso momento avrei voluto essere da solo e correre al mio ritmo. Lo so, magari mi sarei schiantato dopo 10 km, ma non posso negarlo, andare piano mi è costato tanto dal punto di vista emotivo in quel momento. E mi costerà anche dal punto di vista fisico alla fine.
Mi giro continuamente per accertarmi che Mary sia vicino a me, in tutto questo casino, penso tra me e me, è un attimo perdersi. Le chiedo continuamente come sta. “Benissimo” mi risponde ogni volta “E’ tutto fantastico” E così, anche per quello che dicevo prima, torniamo ad accelerare. Per colpa mia, ero io che stavo davanti. Le chiedo ancora come va, lei mi dice sempre ok, tutto ok, va benissimo. Probabilmente dice così perché è vero, sta bene, impossibile non stare bene, ma forse un pochino lo dice perché ha capito che vorrei andare un filo più forte e prova a tenere. E così la porto io fuori giri, testone che non sono altro. Facciamo tanti km tra i 5:20 e i 5:30. Continuiamo a sorpassare, lei mi sta sempre abbastanza vicino, quando la sento ridere per come la gente pronuncia storpiandolo il mio nome, mi dico che forse si, sta bene anche lei e che non stiamo andando troppo forte. Passiamo ai 10 km in meno 58 minuti. E tutto sembra andare bene. Io continuo a fare lo scemo con tutti, è cosa che mi viene particolarmente bene. Non mi faccio scappare un cinque con i bambini, mi fermo per qualche secondo a ballare di fronte alle varie band, un tizio mi offre una lattina di birra e che vuoi fare, lasciarti scappare l’occasione di bere una birra correndo a Brooklyn? Neanche per sogno, me la bevo praticamente tutta, integratori base luppolo mi dico. E corriamo. Pure accelerando al tredicesimo e quattordicesimo. Arriviamo in fondo alla 4 Ave, c’è il Barclays Center e la strada gira prima un po’ a sinistra in Flatbush Ave e poi c’è una curva secca a destra per immettersi in Lafayette Ave. La strada è molto larga e tutti i runner si spostano verso destra per tagliare un po’ di strada. Solo che così facendo lasciano un po’ soli gli spettatori sull’altro lato. E la cosa non mi sembra per niente giusta. E allora mi stacco dal gruppo, mi sposto verso sinistra, punto diritto verso quel gruppo di spettatori dietro le transenne fino a quel momento un po’ silenziosi. E comincio a chiamarli: “C’mon Brooklyn, let’s go, let’s go!!!” Non l’avessi mai fatto. Vengo ricambiato da un boato, 100 persone che urlano per 1000. “C’mon, Ghiaaaani, c’mon, push, pushhhhhh!!!! Let’s go!!!” Finisco la curva e non so se ridere o piangere. Sento nitidamente il sorgere della pelle d’oca sugli avambracci così come in questo momento in cui sto scrivendo. Per fortuna, mi viene in mente di cercare Mary e rientro un attimo nella realtà. La trovo, poco più avanti. Pensavo avesse preso più vantaggio, invece è subito lì, distante 10 metri, non di più. Si accende una piccola spia d’allarme in me. Ma subito non la voglio ascoltare, so che sarebbe foriera di cattive notizie. Guardo l’orologio, la previsione di tempo finale si è abbassata sotto le 4 ore, nettamente sotto. Proseguiamo un po’ in silenzio, ogni tanto mi giro, ma non riesco a capire come sta la mia compagna di corsa, porta occhiali da sole che nascondono gli specchi dell’anima.
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da JJruns »

Finisce la lunghissima Lafayette Ave, si svolta a sinistra in Bedford Ave direzione Williasburg e qui, come previsto, il tifo incessante lascia spazio al silenzio per la prima volta dopo aver lasciato il ponte di Verrazzano. Trovo il coraggio di chiedere a Mary come sta. E questa volta non mi risponde “tutto ok”. No, per niente. Raccolgo un laconico: “sono un po’ in difficoltà”.
Che vuol dire crisi. Crisi vera. Faccio passare qualche minuto, il silenzio nel quartiere ebraico mi aiuta a raccogliere un po’ le idee. “Ok, Mary, è solo un momento, tranquilla, hai tutto nelle gambe, siamo solo partiti troppo forte, rallentiamo e da adesso facciamo tutti i ristori”. “Ok, tranquillo” mi dice “sto ancora bene”. Però è una piccola bugia, lo sento dalla respirazione, è diventata un po’ affannata. Da qui in poi, rallento, rallentiamo, non le sto più davanti, ma di fianco.
Cerco di parlare un po’ più con lei, ha già fatto una maratona, ma ormai son passati tanti anni, è come se fosse la sua prima volta. Mancano tanti km ancora, una montagna che spaventa chiunque. Ad ogni ristoro beviamo con calma e ripartiamo. A volte lei sembra non voler nemmeno fermarsi. Ma un pochino la obbligo. Non so se ho fatto bene, ma conosco bene la sensazione di quando una crisi si tramuta in crisi nera. Non corri più. Ti fermi e se va bene, cammini. E non voglio rischiare che possa vivere questa brutta esperienza. Non qui, non oggi.
Polanski bridge è duro da passare, ma piano piano se ne va anche lui. Sappiamo che dopo ce n’è uno ben più tosto, il temuto Queensboro. Ogni tanto ci spostiamo nuovamente a lato, il quartiere ebraico è finito, ora siamo nel Queens e di nuovo, esplosione di tifo. Ci ricarichiamo un po’ con tutti i 5 ai bambini. Al 25 km eccolo, sua maestà Sir Ed Coch Queensboro bridge, detto lo spauracchio. In realtà, è solo una bella rampa, lunga per carità. Ma quest’estate, con 32 °C, a Palau ho fatto ben di peggio. E poi ora ho lo stimolo di sostenere Mary. “Dai, Mary, tranquilla, guarda, li superiamo tutti, non ci sorpassa nessuno, tranquilla, stai andando benissimo” Ed è così, tantissimi camminano, più di qualcuno fermo con le mani appoggiate sulle ginocchia. Noi, piano piano, ma senza mai camminare lo facciamo tutto ‘sto fottuto Bridge.
“Grande, Mary, sei una grande, l’hai fatto tutto, hai visto, senza mai fermarti”. Il tanto atteso brusio in fondo al ponte ci carica ancora di più. Piombiamo in Manhattan, curva di 270° e infiliamo la 1St Avenue. Siamo al 27 km, ora però non sono più solo a sostenere Mary. Abbiamo appuntamento con i bambini intorno al 32 km, incrocio 1st Ave con 125 Street. E non c’è stimolo più grande.
Sempre piano, senza accelerare, facendo tutti i ristori, ma Mary non molla un ca**o di centimetro e la mette giù dura. “Dai, Mary, vai alla grande, 15 minuti ancora e vediamo i bambini” “Certo, tranquillo, sto bene, andiamo” E finalmente li vediamo, eccoli, bambini e consorti, ci vedono, si sbracciano, ci fermiamo. Io sto ancora benone, riesco ad abbracciare mia moglie e il piccolo che mi guarda, per una volta fiero del papà. Di solito, non è proprio così. Ma oggi no, ha visto tanta gente correre in quella strada e quando arrivo e lo bacio mi regala un “Dai, papà!” che mi mette i brividi.
Prolungo la sosta ancora un po’, spero che possa servire a Mary per recuperare ancora. Ripartiamo dopo 2 minuti abbondanti dopo esserci dati un secondo appuntamento al venticinquesimo miglio in Central Park. Mary sembra essersi un po’ ripresa e entriamo nel Bronx dopo l’ennesimo ponte. Siamo oltre il 33° km e adesso sento io un po’ di dolore ad entrambe le gambe. Il tempo al km ormai si è stabilito da parecchio ben oltre i 6 min/km.
Nel Bronx, forse per la stanchezza, mi è sembrato di avvertire meno la spinta del tifo, è anche vero che stavamo transitando dopo ben oltre 5 ore dall’inizio della maratona, forse anche la gente era un po’ stanca. Al 35° km rientriamo in Manhattan e ciò da cui stavo cercando di proteggere Mary investe me pesantemente. Crisi. In pochissimi minuti i dolori alle gambe dalle ginocchia in giù passano dall’essere abbastanza sopportabili ad una intensità elevata. Ne faccio cenno alla mia compagna, come per dire, dai siamo in difficoltà tutti e due, non pensare che io sia fresco come una rosa, mi sto trascinando cercando un appoggio diverso ad ogni passo per attenuare un po’ il dolore, soprattutto sotto i piedi e sulle caviglie.
L’ingresso in Central Park riaccende un po’ l’entusiasmo, ma non dura molto. Tra l’altro è un susseguirsi di su e giù che ora si, danno fastidio e sono faticosi. Ammetto che l’idea di passare alla camminata mi ha sfiorato più di qualche volta, ma poi ogni volta mi giravo di fianco e vedevo Mary concentratissima, tutta tesa a procedere e a non fermarsi. E allora, adesso è lei che aiuta me, dai, Gianni, non manca molto, mettiti di lato, fatti dare tutti i 5 di questo mondo, rallenta ancora se vuoi, ma non fermarti. E poi, fra un po’ c’è di nuovo Polpetta che ti aspetta, vuoi che ti veda così giù? Dai, animo! Raschio fuori un filo di grinta, parlo ancora a Mary “Dai, ragazza, ci siamo, manca poco, vediamo i bambini e poi siamo davvero alla fine” Lei mi dice: “Basta, io per quest’anno non corro più, sicuro al 100%!” E pure io le dico: “Sai che c’è? Vaffa anche a Reggio Emilia, volevo farla quella maratona, ma mai e poi mai, con oggi stop, anche troppo!” Quando raggiungiamo il secondo punto d’incontro ormai sappiamo di avercela fatta. “Come va, papà?” “Fa un po’ male, piccolo, ma ancora un pochino riesco a correre” “Non sembra, sai, stavi quasi camminando quando ti ho visto arrivare”. Cacchio, penso, devo proprio essere messo male. Ripartiamo, si esce da Central Park, un rettilineo infinito in 59 Street che infinito non è, ma non termina mai per chi è in queste condizioni, finalmente Columbus Circle e poi a destra, un nuovo tuffo in Central Park per le ultime centinaia di metri. Compresa una stramaledettissima ultima salitella prima dell’arrivo. La facciamo, vedo le tribune ai lati, c’è ancora un po’ di gente che ci incita, in un inaspettato momento di lucidità dico a Mary: “Togli gli occhiali da sole, dammi la mano e spara il sorriso più bello che puoi”. Tagliamo il traguardo braccia al cielo. Due metri dopo abbraccio Mary, bravissima le dico, sei una grande. Appena rilascio l’abbraccio però ha un piccolo mancamento, la forza di volontà l’ha sostenuta fino a lì, ma ora, stanchissima, ha un piccolo mancamento. Per fortuna, dura un battito di ciglia e si riprende istantaneamente.
Anch’io riesco a sorridere. E pure a piangere un pochino. Ma sono bravo, mi nascondo un po’ e Mary non se ne accorge. Almeno credo: si sa che le donne ci fanno credere quello che vogliamo. Comincio ad avere freddo, il sole è calato dietro i grattacieli. Un telo termico leggerissimo fa quel che può, ma i brividi li sento tutti. Mi ricordo di avere ancora quell’improponibile berretto in pile che ci hanno dato alla partenza, lo tiro fuori, ora è diventato la cosa più preziosa del mondo e lo indosso. Anche Mary fa lo stesso. E ci fa tanto bene, perché almeno ci scalda un po’ la testa. Pochi metri dopo l’agognata, bellissima, stupenda medaglia al collo. Siii! Ce l’abbiamo fatta! E possiamo procedere verso l’uscita. Grazie al cielo, ho scelto l’opzione Poncho. Sono stato molto in dubbio nei mesi precedenti. Ma ora so di aver fatto la scelta giusta, ho così freddo che un solo secondo dura per l’eternità. E la fila di runner in uscita è lentissima. Dopo un tempo eterno raggiungiamo la zona di distribuzione dei poncho blu. Arrivo da un ragazzo e gli chiedo: “Sorry, can you help me?” “Yes Sir, here I am, you got it, congrats!!” E mi mette il poncho, me lo chiude bene e mi tira pure su il cappuccio. La stessa cosa fa un’altra volontaria con Mary. E adesso è tutta un’altra cosa. Ben coperti, piano piano cominciamo a riprenderci. Ora è stupendo vedere questa marea blu di stanchissimi bipedi incappucciati. Quasi una metafora, siamo tutti uguali di fronte alla stanchezza della prova regina. Raggiungiamo le nostre famiglie in Columbus Circle. Raccontiamo un po’ le nostre difficoltà, mia moglie mi dice: “Guarda, non vi abbiamo detto niente, ma avevate due facce da paura in Central Park”. Non deve essere stato un bello spettacolo, soprattutto la mia. Prendiamo l’8 Ave, direzione sud. Camminando mi ritrovo Mary di nuovo di fianco: “Ehi, come va?” “Male dappertutto, ma ci sono” mi risponde. “Anch’io, son tutto un dolore, però sta migliorando dai” “Bene” mi dice. “Già, benissimo, direi, l’abbiamo portata a casa” le rispondo. Annuisce in silenzio. E allora, la butto lì
“Corsetta all’alba in Central Park dopodomani?” le chiedo.
“Beh.. ovvio!”
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gambacorta Utente donatore Donatore
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da gambacorta »

@JJ ti banno, hai scritto troppo ... dopo lo leggo con calma, altrimenti dovrei prendere ferie da lavoro :mrgreen:
…”quando l’uomo ha mete da raggiungere non può invecchiare” … cit. EF
fai correre anche tu il :pig: scopri->qui<-come!
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da JJruns »

Hai ragione, Mauro, stavolta ho esagerato.
Mi farò perdonare, aumento la quota per RF causa uso indebito di byte e memoria server. :mrgreen: :mrgreen:
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da dragonady »

@JJ sei un grande e lo è anche Mary, sarebbe stato più rapido fare la maratona con voi che non leggere tutto! Però che dire è un’emozione grande, complimenti per aver superato le vostre crisi supportandovi a vicenda, e per aver vissuto in pieno tutta questa grande festa!
Ci vediamo a Reggio probabilmente!
"...Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori..."
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Loorenz
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da Loorenz »

Complimenti JJ, per la maratona e per il bellissimo resoconto: emozionante!
Tony78
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da Tony78 »

bellissimo racconto!! =D> =D> =D> =D> =D>
deve essere proprio fantastica l'atmosfera :love: :love: :love:
10k 43'02" (Monza 2021) Mezza Maratona 1h32'17" (Monza 2021) Maratona 3h33'35" (Pisa 2021) 50k 5h04'51" (Castel Bolognese 2022)
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andreac76
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da andreac76 »

Grandioso!!!
"se sono libero è perché continuo a correre..."
“NON PUÒ PIOVERE PER SEMPRE”
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leolinux
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Re: [DIARIO] L'improbabile corridore.

Messaggio da leolinux »

Emozionante Gianni.
Grazie!
SM60
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42k 3h43'51" - Brescia - 13/03/2022
6h 56.723km - Parco Nord - 07/05/2023
UTLO 55k - 2022

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