La crisi del podismo italiano

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zeromaratone
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La crisi del podismo italiano

Messaggio da zeromaratone »

:shock:
http://www.repubblica.it/sport/running/ ... 170247760/

Lungo articolo che riassume che l'Italia non riesca a produrre atleti di vertice nel podismo.

Uno dei passaggi :
E che sia una crisi tutta italiana, lo dimostra peraltro una tesi di laurea in statistica pubblicata un paio di anni fa da Michele Belluschi, podista anche lui e figlio di un altro mezzofondista, Elio Belluschi. Padre e figlio rappresentano bene l'involuzione generazionale del running italiano: Elio ha un personal best sui 10.000 di 29'28" (e si allenava dopo intere giornate di lavoro in ufficio), mentre Michele non è mai sceso sotto i 31'26". Secondo i dati raccolti nel lavoro universitario, nella stagione 1991 ben 148 atleti italiani correvano i 10.000 sotto i 30'50", contro gli appena 28 del 2014, e la classe d'oro era quella dei top runner nati nel 1963 - per intenderci Stefano Mei, Francesco Panetta & co. - con 31 di loro sotto i 30'50" e almeno 10 con un best time intorno ai 28'30". Il confronto con l'attualità è impietoso: tra i mezzofondisti nati nel 1983, solo 7 vantano tempi inferiori ai 30'50" e addirittura non ce n'è alcuno nato nel 1981 che sia mai sceso sotto i 30'.

Uno "zero" desolante che si ripete tra le classi 1991 e 1992. Il declino è "fotografato" nitidamente in due grafici a canne d'organo che mostrano, in un caso, il numero di atleti sotto il limite cronometrico dei 30'50" nei 10.000 in pista a partire dalla stagione 1969 e, nell'altro caso, il numero di atleti sotto i 30'00" per classe d'età (dai nati nel 1946 a quelli del 1994). Il profilo dei due disegni è molto simile, con un crescendo che arriva agli anni Ottanta-Novanta per il maggior numero di prestazioni cronometriche sotto i 30'50", e ai nati negli anni Sessanta e inizio Settanta nel grafico per classi d'età (con la felice eccezione dei nati nel 1957, che in 19 vantano il best time sotto i 30', uno in più della classe 1962). Fin qui i numeri. Quando la tesi passa alle interpretazioni e ai perché del fenomeno, il supporto statistico diventa più labile, ma Michele Belluschi azzarda comunque almeno tre possibili cause del declino del mezzofondo italiano.

(...)
Dal 2014:18 maratone, 6 stars finisher; 2018 100km del Passatore, Ironman70:3
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susodueto
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Re: La crisi del podismo italiano

Messaggio da susodueto »

Ricordo che qualche mese fa qualcuno propose di cancellare i record internazionali storici. I motivi sono noti.

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CarloR Utente donatore Donatore
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Re: La crisi del podismo italiano

Messaggio da CarloR »

My two cents
Gli anni 80 dell'atletica italiana (e dello sci di fondo) erano quelli di Conconi e del telebeam :) per limitarci agli atleti di punta.
E della maggiore ignoranza sui rischi di fare certe pratiche per scendere sui semi top.
Poi non so, forse ci sono meno giovani che fanno atletica e quindi meno eccellenze.
Delle tre spiegazioni che da l'autore le prime due possono essere convincenti, la terza (bambini più rammolliti) per me non ha senso perché è un discorso che vale per tutti i paesi del mondo (anche del terzo)


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zeromaratone
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Re: La crisi del podismo italiano

Messaggio da zeromaratone »

Si sono d'accordo sul fatto che la tesi che le nuove generazioni siano delle pappe molli non stia molto in piedi (non si parla degli anni 50 quando i bambini andavano a piedi a scuola), ma mi sembra un po' azzardato parlare di "pompaggio" visto che ci scontreremmo con questa storia qui:
"Da Franco Arese (oro europeo sui 1500 nel 1971) al titolo olimpico di Baldini nella maratona olimpica di Atene 2004, passando per i successi di Cova, Dorio e Panetta e l'oro di Bordin a Seoul 1988 sempre in maratona, siamo stati, tra alti e bassi, il Paese che sa correre, soffrite e anche vincere. Trionfavamo a ripetizione sulle strade di New York con Pizzolato, Poli, Leone e Franca Fiacconi. Ora invece facciamo fatica ad affermarci anche solo in Europa".

Ecco forse i metodi di allenamento sono veramente cambiati... :nonzo:
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mb70
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Re: La crisi del podismo italiano

Messaggio da mb70 »

Il livello è basso non c'è un solo fattore determinante. Organizzazione, percorsi di crescita, assenza di sistematico confronto con la scuola e anche "cultura" del sacrificio e della sofferenza.

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