Concordo con phantomfh: evviva la discordanza di opinioni, ma liquidare lo stralcio da lui (phantomfh) citato affermando che Breccia, nel suo libro, "intende fermarsi quando vedi che non fai il tempo che ti aspetti" (parole di zeromaratone) equivale a fornire un'interpretazione assai superficiale e, in fondo, errata.
Cito anche io una frase del libro, che mi è particolarmente piaciuta: "Non basta finirla. Lo dico subito: se c'è una cosa che mi irrita, una delle poche, è sentire un maratoneta - o un aspirante tale - che dice ad alta voce «non mi importa quanto ci metto, a me basta arrivare in fondo». Allora prenditi una domenica libera e vai a fare una lunga passeggiata, mi viene voglia di rispondere. La maratona non basta finirla: pensare una cosa del genere significa privare la gara del suo fascino, e togliere a ogni maratoneta, dal più forte al più debole, la dignità dello sforzo compiuto, che dura alcuni mesi e si sublima in alcune ore. Ma non in un numero qualsiasi di ore. La magia della maratona è lo strano e in parte casuale equilibrio tra velocità e distanza: perché è una gara che consente a tutti, anche agli amatori, di sperimentare quella difficilissima ma splendida tensione tra intensità e durata dello sforzo, tra efficienza del gesto atletico e possibilità di replicarlo nel tempo."
L'ho sempre pensato anch'io, e per questo non sopporto chi si maschera per una maratona o dice: "Voglio solo arrivare in fondo". Si tratta di alibi, si tratta della paura di mettersi alla prova. Stefano Baldini ha inventato un bellissimo ossimoro: "La maratona è una grande impresa alla portata di tutti". Alla portata di tutti, sì: ma una grande impresa.
Concludo dicendo che a ottobre presenterò il libro di Breccia dalle mie parti, e ne sono molto felice. Per me resta l'unico testo in lingua italiana, assieme a quello di Maccagno (da cui ho tolto la citazione che leggete in calce), che indaghi la maratona come percorso di avvicinamento al limite.
Con ciò, buone corse a tutti!
