DONNAS - GRESSONEY
Sottotitolo: "Vale la pena fare il Tor solo perché ad un certo punto arrivi al ristoro di Perloz, poi sali fino al Col Carisey e
andando verso il Coda, guardi a destra e vedi la pianura Padana e pensi che purtroppo sei già a metà strada!"
Cammino svogliato sulla statale fino a Point Saint Martin.
Qui scopro con tristezza che quest'anno non c'è neanche il diavolo...sì, il diavolo,
ovvero un volontor vestito da Diavolo che tenta di comprarti l'anima...!
Per fortuna c'è ancora il ponte del Diavolo...altrimenti Pont Saint Martin non si chiamerebbe più così.
Penso alla leggenda legata a questo ponte e rifletto su come il Tor sia un viaggio nella cultura della Valle d'Aosta,
non solo un viaggio attraverso il suo territorio:
Pont-Saint-Martin, deve il suo nome a un ponte romano, il più grande a campata unica ancora esistente, costruito nel I secolo d.C. per scavalcare il torrente Lys. Secondo la leggenda, San Martino sfidò Satana a costruire in una sola notte un ponte che fosse in grado di superare il torrente. Il santo promise al diavolo che gli avrebbe concesso l'anima di colui che lo avrebbe attraversato per primo.
Satana, come stabilito, costruì il ponte, ma fu imbrogliato da San Martino, che per primo fece passare un cane.
Il diavolo, con un diavolo per capello...se ne andò umiliato!
Ricordo con piacere il ragazzo danese che nel 2018 mi ha raccontato decine di storie, curiosità e leggende degli alpeggi, dei colli, delle valli e dei villaggi attraversati dal percorso del Tor. Sapeva più segreti e storie valdostane lui di un vero valdostano.
Forse anch'io stavo vendendo l'anima al diavolo, alla competizione, al cronometro...ma ho fregato il diavolo, ora mi godo il viaggio!
Comincio a salire tra i vigneti. La prima parte della salita è molto dura con gradini in pietra irregolari. Temo il caldo.
Quest'anno fa caldo, ma non ci sono i trenta e passa gradi del 2018, quando su questa salita avevo avuto la mia prima vera grande crisi.
Speravo di affrontare questa parte della salita di prima mattina, ma purtroppo sono stato troppo lento nel tratto Cogne/Donnas.
Intelligentemente (per una volta) affronto la salita con calma e senza affanno e in breve arrivo alla Madonna della Guardia dove trovo grandissimo sollievo bagnandomi e bevendo la freschissima acqua della fontana del Santuario.
Continuo la salita verso Perloz senza fretta, il mio passo è deciso ma tranquillo...mi sto godendo il Tor!
Arrivo a Perloz con una inaspettata felicità interiore e urlo a squarciagola:
"E allora? Mi fate i sentire i campanacci del ristoro migliore del Tor?!?!?"
La risposta è immediata, vengo accolto da un'ovazione di campanacci, neanche fossi Franco Colle!
Una videomaker mi riprende come fossi un top runner.
Mi fermo al ristoro più di mezz'ora. I volontari mi coccolano in tutti i modi e faccio foto praticamente con tutto il paese.
Come ciliegina sulla torta mi riempiono le borracce con spremuta fresca di arance fatta apposta per me.
Alla fine riparto solo perché Silvano (Gadin, speaker ufficiale del Tor) mi obbliga.
Riparto così carico che quasi non mi accorgo di passare il suggestivo e scenografico ponte di Moretta e che la salita alla Sassa, che ho sempre sofferto (anche in allenamento), passa in un baleno, senza fatica...miracoli della mente!
Al ristoro del rifugio della Sassa mangio due porzioni di pasta al ragù che mi cucinano al momento. Devo attenderla più di un quarto d'ora,
ma non mi importa. Sono felice, qualcosa si è riacceso dentro di me...forse è il drago del Tor.
Salgo fino al col di Carisey spedito, non fa caldo e sono pieno di energie. Al colle tira vento, ma mi fermo a mangiare un po' di pane e mocetta (non dimentico i consigli di Elena Casiraghi: "Mangia di continuo...poco ma di continuo!").
Seduto sul cippo piramidale del colle guardo verso il basso, il bellissimo panorama di Biella e della pianura Padana.
Ad un tratto un pensiero un po' triste si fa largo nella mia testa...sono quasi a metà del viaggio...purtroppo non manca molto alla fine!
Una folata di vento gelido e impetuoso mi riporta alla realtà e mi fa capire che è meglio ripartire verso il Coda.
Approfitto della compagnia di Marino, un ragazzo valdostano di Hone, simpatico e chiacchierone e mi aggrego a lui.
Per combattere il vento freddo ci lanciamo, come in un gioco (incuranti dei 170km che abbiamo nelle gambe), all'inseguimento di una gruppetto di sei/sette concorrenti che alla fine, superiamo di slancio proprio all'entrata del tendone del ristoro fuori dal Coda.
Sone le 19:39 di martedì e sono proprio di buon umore.
Come tradizione ci divoriamo due porzioni super abbondanti di pasta panna e prosciutto (la rinomata specialità della casa).
Dopo aver giocato un po' con il cane del rifugio, scambiato 4 chiacchiere con Lalla (la gestrice del rifugio)per informarci delle previsioni del tempo, io e Marino decidiamo di ripartire prima che faccia buio. Lalla gentilmente ci consiglia di dormire un paio d'ore visto che ci sono diverse brande libere, ma noi (secondo grande errore del mio Tor 2022) decliniamo l'offerta. Partiamo verso il colle Sella scomparendo in una leggera coltre di nuvole basse che forma una nebbia densa che però appare e scompare al ritmo delle raffiche di vento.
raggiunto il colle scendiamo sul sentiero pietroso e poco corribile senza affanni. Io e Marino parliamo continuamente, un po' di tutti gli argomenti: dal Covid che gli ha provocato un problema cardiaco ora risolto, alla situazione politica italiana, dalla brutta storia capitata alla mia grande amica Francesca (Canepa) nel Tor di qualche anno fa, al ritiro del suo amico Franco (Colle) al Tor di quest'anno.
Durante la discesa scopriamo che il percorso è cambiato (in realtà già dallo scorso anno)e non si scende più al lago Vargno, ma si passa su un sentiero abbastanza rognoso in costa (con qualche piccolo tratto esposto e attrezzato).
Come sempre quando ci si ritrova di fronte a qualcosa di inaspettato, sembra di non arrivare più e
la mancanza di sonno comincia a farsi sentire prepotente, togliendoci lucidità ed energie.
Il sentiero sembra non finire mai, un continuo alternarsi di saliscendi, ma poi finalmente ecco il rifugio della Barma che,
come se giocasse a un crudele nascondino, si rivela solo all'ultimo momento. Praticamente lo vediamo solo quando siamo sulla sua porta d'entrata. Appena entrati, stravolti dal sonno, chiediamo 2 posti per dormire, ma scopriamo con terrore che non ci sono posti per dormire. Questo tratto del percorso è in comune con il Tor des Glaciers e le brande sono quasi tutte occupate dai suoi concorrenti.
Non siamo gli unici concorrenti del Tor che vorrebbero dormire...non ci sono brande e non ci sono coperte per dormire per terra.
I volontari ci propongono di svegliare chi sta dormendo dopo solo un'ora di sonno e non dopo due come previsto dal regolamento.
Noi non ce la sentiamo di togliere un'ora di sonno a qualcun altro e decliniamo con decisione l'offerta.
Marino trova un'amaca vicino all'entrata e decide di dormire lì. A me viene in mente che ho il sacco da bivacco di emergenza,
così decido di dormire per terra sotto un tavolo. Il sacco da bivacco è un telo termico a forma di sacco a pelo: conserva il calore del corpo,
ma non isola dal freddo del pavimento. Mi sveglio dopo un'ora e mezza sudato ma con la schiena gelata.
Onestamente non riesco a capire se mi sono riposato o no, ma dobbiamo ripartire.
Mi faccio un caffè-latte con una tonnellata di biscotti e mi preparo velocemente per ripartire.
Mi sembra di vedere Marino uscire (in realtà è andato in bagno...la stanchezza e la mancanza di lucidità giocano brutti scherzi).
Esco di corsa. Vedo una frontale a circa 150/200 metri dal rifugio, penso sia lui e mi lancio all'inseguimento.
Dopo un'ora raggiungo la frontale che mi precede e il suo proprietario ma non è Marino...è un cinese, pure antipatico!
Non mi resta che continuare...colle Marmontana...colpo di sonno, barcollo, arranco! Per fortuna arrivo al ristoro del lago Chiaro
(la mia salvezza) e dormo mezz'ora (come un sasso) in un piccolo prefabbricato di 3 mq.
Al risveglio rifiuto cortesemente la grigliata di salamelle e costine offerta dai gentili volontari e riparto per la suggestiva Crenna dou Leui:
una spettacolare breccia nella roccia (probabilmente uno dei passaggi più belli del Tor) che apre la via verso il colle della Vecchia.
Dal colle il percorso continua con la panoramica e bellissima discesa verso Niel.
Nel tratto finale la discesa è resa difficile e faticosa dal terreno sempre umido, infido e scivoloso.
L'arrivo a Niel è una vera festa (un po' come a Perloz) grazie ai campanacci e al tifo da stadio dei volontor.
Sono le 10:05 di mercoledì quando metto piede nel ristoro e registrano il mio arrivo.
Alla fine sono abbastanza in tabella di marcia, forse ho qualche ora di ritardo, ma non mi importa.
Il sonno non accenna a diminuire, so di aver dormito poco e male, così decido di dormire un'altra oretta.
Prima di dormire mi sbaffo due porzioni di polenta concia con il sugo (da sempre la più buona del Tor) accompagnata
da una bella birra e da una telefonata a Silvia. Le racconto che so che sto perdendo tempo sulla tabella prevista,
ma sto bene e, finalmente, mi sto godendo sto' cavolo di Tor!
È bello sentire la voce di una persona amata prima di addormentarsi. Dormo un'ora nella tenda igloo fuori dal ristoro,
sotto una pioggia incessante e intensa. Al risveglio penso che ho scelto proprio il momento giusto per dormire: ho riposato da solo con una tendatutta per me e ho evitato la pioggia.
Ora mi aspetta uno dei miei tratti preferiti: la salita al Col de Lazoney e il vallone di Loo,
uno dei luoghi con l'energia più positiva al mondo.
Arrivo al colle velocemente e a sorpresa trovo un amico, Francesco, un ragazzo bergamasco conosciuto alla SwissPeaks 360 lo scorso anno.
Sta aspettando un suo amico a cui fa assistenza. Gli è venuto incontro da Gressoney, ma è da 2 ore che aspetta l'amico e ormai ha freddo.
Decide di accompagnarmi, è mezzo congelato e stufo di aspettare. Scendiamo velocemente, correndo sciolti ma senza forzare il ritmo
e in breve (lui è molto più forte di me e in realtà mi fa da lepre) arriviamo al ristoro di Loo.
Con un po' di delusione scopriamo che non ci sono più i fantastici tortellini degli scorsi anni,
ma in compenso, il proprietario della baita dove c'è il ristoro ci fa un'eccezionale zuppa di verdura con pane e toma stagionata
e ci offre una freschissima birra artigianale. Facendo bene i conti, rispetto agli scorsi anni, ci guadagniamo con gli interessi.
Se il Tor non fosse anche una gara (perché va bene il viaggio, ma alla fine bisogna anche arrivare entro una certa ora a Courmayeur), probabilmente rimarrei a Loo per qualche giorno...
Così ci diamo una mossa e ripartiamo. Scendo corricchiando tranquillo e saltando da un gradino di pietra all'altro fino a Gressoney.
Ripenso al 2018, quando arrivai qua con i piedi devastati dalle vesciche e con i quadricipiti praticamente bloccati.
Quest'anno sto benissimo, le gambe non mi fanno quasi male e sono abbastanza riposato.
Entro al palazzetto di Gressoney alle 15:51, sono in ritardo sulla tabella di marcia di almeno 4 ore, ma sono sorridente e rilassato...
e quasi riposato! 4 anni fa avevo due ore di vantaggio, ma ero quasi in lacrime ed ero deciso a ritirarmi.
Non male, sono orgoglioso di me e grato ad andrea, il mio coach! Ora mi sono meritato un bel pranzetto e un bel massaggio...
(quarta tappa - continua)