Mi sembra che tutto sommato si sia riusciti a trovare una linea di compromesso.
Fin tanto che, assieme all'aumentare dei chilometri di gara, continuano ad affiancarsi prove con distanze più brevi, tutti dovrebbero riuscire a trovare la propria linea d'espressione: sia chi fa 20-25 Km correndo sul serio e su ritmi da skyrace, sia chi ne fa 60+ al trotto e puntando sull'endurance pura. Ma anche viceversa. Chi si fa 20-25 km per godersi la natura senza sfiancarsi, e chi riesce a combinare resistenza e passo rapido su distanze impegnative.
Nessuno è figlio di un Dio minore né dev'essere considerato tale, questo mi pare chiaro.
Un punto però citato all'inizio della discussione da Fabio, di fatto non affrontato e forse da non sottavalutare, riguarda la questione "sicurezza".
Voglio dire: l'Organizzazione che sceglie - liberamente - di portare nel giro di un paio d'anni una competizione da 30 km a 55-60, è in grado di mantenere standard di sicurezza accettabili per gli atleti?
Probabili obiezioni: chi decide di cimentarsi in un Ultratrail lo fa in piena autonomia, libertà, coscienza delle proprie azioni e consapevolezza delle proprie forze e limiti.
Chi decide di correre un Ultratrail è, di solito, un esperto
montagnard in grado di muoversi in un certo tipo di ambienti.
Chi decide di correre un Ultratrail è responsabile della propria iniziativa, e lo fa a suo rischio e pericolo.
Replica: non dubito che coloro che si cimentano in un Ultratrail siano atleti con esperienza e capacità tali da poter fronteggiare numerose difficoltà.
Tuttavia, perdonatemi una frase fatta e molto scontata: "la Montagna resta la Montagna".
Chiunque fa trail, sia ultra che mini, è un grande amante della Montagna. E conosce bene quanto questo ambiente sia affascinante ma imprevedibile. Che si tratti delle forme dolci dell'Appennino o delle asprezze dolomitiche, il rispetto e la deferenza devono restare immutati - come ogni trailer sa perfettamente -.
Ora, portare una gara da ipotetici 35 km a 60+ km non significa semplicemente fare una nuova mappatura, una nuova tracciatura gps. Vuol dire aggiungere diverse centinaia di metri di D+, ripide discese, passaggi esposti, altre rocce, single tracks, creste e fango. Non propriamente popcorns.
La gestione di una gara di 60+ km è, di conseguenza, molto più complicata rispetto a una di 35.
Pertanto, permettetemi due affermazioni:
1) per quanto con buona volontà e in buona fede, è molto improbabile che un'Organizzazione "media" (quella sotto casa nostra per intendersi, non l'UTMB) riesca ad assicurare la
certezza della sicurezza su un percorso di gara. In particolare se tale percorso di gara ha subito il raddoppio dell'originale distanza nel giro di due anni;
2) per quanto mirabili siano l'abilità, l'esperienza ed anche l'umiltà di chi si cimenta in un Ultratrail, la Montagna resterà sempre più forte e su questo siamo tutti d'accordo.
Il punto è un altro: non siamo tanto ingenui da credere che tali abilità ed umiltà riguardino tutti. Voglio dire, col recente boom del trail running (di cui anch'io faccio parte) e l'arrivo nella disciplina di tanti "nuovi" trailers, è presumibile aspettarsi anche che alcuni atleti possano cadere in errori di sopravvalutazione delle proprie capacità o in - molto umani - peccati di presunzione.
Tali errori di sopravvalutazione e peccati di presunzione, combinati con la mancanza di garanzia assoluta di standard di sicurezza, ed inseriti in un ambiente selvaggio, potrebbero essere se non fatali, diciamo, spiacevoli.
Con la dovuta premessa che ognuno è libero e responsabile delle proprie azioni, la domanda finale che vi pongo perciò è:
è accettabile l'esponenziale incremento delle distanze nelle gare trail, a fronte di un non commisurato - perché quasi impossibile - aumento degli standard di sicurezza?
(Specie se, tale esponenziale incremento, è fatto per un "seguire il trend", ed ottenere magari sponsors importanti).