Ma sì, questo racconto iniziamolo così.
A tradimento. Un po' per scherzo, un po' per nostalgia. Per farvi invidia, prendervi per gli occhi, per la gola, per l'anima.
Eccovi qui - subito - la ragione principale per la quale credo ogni podista, trailerista o asfaltista che sia, debba correre questi sentieri una volta nella Vita.
(Perdonate l'esile figura, cromaticamente discutibile, ad inficiare l'immagine delle Tre Cime).
A dover descrivere le intime, personali sensazioni che suscita correre tra i paesaggi della Camignada poi sie refuge, si potrebbe addirittura rischiare il parental advisory - strong content.
Perché le Tre Cime rappresentano l'apologia per eccellenza di un simbolo alpino, il gioiello più straordinario dell'intera corona dolomitica. Lo capisci subito, quando quei profili aguzzi e imponenti si stagliano all'improvviso di fianco a te, al termine della prima salita. E' impossibile allora, per chi ama la Montagna e per chi adora le Dolomiti, non avvertire un fitta di meraviglia, di orgoglio, di fede.
Sì, di fede. Senza alcuna ironia (vabbé, poca poca), le Tre Cime sono una valida prova che il Padreterno esiste, ed è anche un ottimo designer. Chi entra alla Camignada darwiniano, rischia di uscirne come convinto creazionista.
Ma anche risultassero essere nient'altro che l'opera casuale, fortunosa della Natura, non mi azzarderei a considerare le Tre Cime come montagne.
Troppo fotografate, immortalate, cantate, raccontate, parte del nostro immaginario collettivo. Come fossero non roccia, ma monumento, cattedrale, opera d'arte.
Lo abbiamo visto in molti il turista canadese in ginocchio di fronte al David di Michelangelo, l'archeologo argentino in estasi tra i resti di Pompei. Ecco, se c'è qualcosa che può farti venire voglia di mandare a ramengo la tua gara per 20, 30 secondi o 2 minuti, è proprio la voglia di fermarti a contemplare questa apoteosi del paesaggio dolomitico.
Non le avevo mai viste da così vicino. O meglio, non che potessi averne memoria.
Sono incantevoli in modo sconcertante, sbalorditivo. Eppure selvagge, inaccessibili. Un prodigio.
Mi spiace per gli svizzeri. Sì, il Matterhorn, o Cervino, insomma la Toblerone-Mountain. Bellissima, certo, ma non la più bella del mondo per quanto gli svizzeri siano dei maghi del marketing - anche meglio dei sudtirolesi -. Vabbè, discussione spinosa. In ogni caso, il Matterhorn è 1, le Tre Cime sono 3.
Ma devo parlare anche della gara.
Allora, bellissimo weekend in montagna, con la compagnia perfetta di Gabriele-Raptor e di Urbano-Zaffa. Un vicentino al volante, due passeggeri veneziani, in una microscopica utilitaria giapponese di 13 anni fa. E già da questa premessa capite che sono stati due giorni divertenti.
Ringrazio le Tre Cime anche per avermi ricomposto una certa idea estetica di mondo. Tale equilibrio era stato distrutto dallo tsunami provocato dai boosters rosa di Matteo-Inchi. Nemmeno le tute di Jane Fonda che ballava l'aerobica in tv negli anni 80. Abbiamo rischiato che il Sorapiss venisse giù dentro al lago di Misurina.
I partecipanti erano 1300, moltissimi. Temevo l'effetto "Raccordo anulare di Roma" (luogo nel quale, per carità-di-Dio, non sono mai stato, e spero di non doverci andare mai), per cui con i miei due compari veneziani siamo riusciti a partire abbastanza davanti.
Pronti, via.
Dopo "la gara della Vita" la settimana scorsa alla Maratona Trans d'Havet, non sapevo bene a cosa puntare. Innanzitutto, perché la Camignada è una gara per discesisti, e io in discesa faccio una discreta pietà (tornerò più tardi sull'argomento). Però le gambe ci sono, nonostante i 40 km della settimana prima. Azzardo un "entro le 3.30" come pronostico. Ora, date soddisfazione a Raptor che è andato avanti mezzora beffandomi: -"no, non ce la fai" - (Di poco, ha avuto ragione

).
Parto bene, le prime salite passano veloci. Sono brevi, ma tirano parecchio, ed in effetti sento le gambe più stanche del previsto. In ogni caso, la prima parte della gara la faccio sotto il totale effetto allucinogeno provocato dalla bellezza dell'ambiente che mi circonda - soprattutto dal Rifugio Lavaredo e il Rifugio Locatelli, passando per l'omonima forcella Lavaredo -. Certo, l'idea di bloccarmi all'improvviso sul single track per guardare meglio, non è delle più intelligenti e fa (giustamente) incavolare i miei colleghi dietro.
Fino a qui posso confermare che è una competizione alla portata di qualsiasi podista, mediamente allenato pur con una buona esperienza di ambienti montani. Gran parte della gara, infatti, si svolge oltre i 2000 m, in un ambiente selvaggio, che richiede attenzione, accortezza ed anche una buona dose di umiltà.
Qui, peraltro, posso confermare le critiche che mi erano già state segnalate da veterani di questa manifestazione: la sorveglianza lungo il percorso è poca, nell'ultima lunghissima discesa è nulla. Forse io non l'ho vista, ma sono più propenso a credere ad un carenza organizzativa. Mancanza molto grave, bene inteso. Si parla di sicurezza, e dovrebbe essere al primo posto.
Ciò detto, una gara che ha 41 anni di storia non può che avere una macchina organizzativa ben collaudata negli altri aspetti. Ristori ben distribuiti lungo il tracciato, e ben forniti. Volontari come al solito splendidi, e gentili. Facilities come docce, spogliatoi, pasta party promossi a pieni voti.
Concludo il resoconto con la parte finale della mia gara.
La discesa.
Spesso sento corridori chiedersi: -"Ma la differenza tra lo sky-running e il trail-running, qual'è?" -.
A prescindere dal fatto che esiste una Federazione Internazionale di Skyrunning, credo che una delle differenza fondamentali riguardi la mia (non-)abilità in discesa.
A metà gara, condotta molto bene, mi ritrovo la discesa che da Forcella Di Cengia porta al Rifugio Zsigmondy-Comici. Una discesa ripida, ma sopratutto in alta quota, con un terreno di pietre, massi e salti di roccia, un vero ambiente da skyrace.
In quanto non amo le cose semplici, penso bene di infilare - da fermo, in piano, mentre bevevo - il piede in un'insenatura di roccia (nemmeno se avessi preso la mira per 30 volte, sarei riuscito ad infilarcelo volutamente

) rischiando una storta. In ogni caso: non riuscivo ad andare giù. O meglio, scendevo con il freno a mano tirato, come se camminassi sulle uova. Credo di avere un istinto di sopravvivenza estremamente forte (bene), che non mi permette di lanciarmi ove non mi sento sicuro.
La discesa finale, invece, l'eterna Val Giralba - 8,5 km di discesa perdendo 1400 m di quota -, è stata tutta un'altra storia. La prima parte di questa picchiata è su un ghiaione. Il ghiaione, per definizione, è anarchia, istinto, coraggio, fantasia. Il sentiero non c'è più, o meglio è laggiù in fondo, le vie della montagna sono infinite. Lanciati nel vuoto, scivola, lasciati andare, surfa tra le rocce.
Bellissima esperienza raccontata in questo modo, ma io detesto quell'anarchia, non ho quell'istinto e quegli attributi, non mi riesce di surfare, il risultato è finire col sedere per terra 4 volte nel giro di due minuti.
Ma non appena il sentiero ricompare, e con esso la vegetazione, il bosco, gli alberi, le radici... boom. Ho ricominciato ad andare, smesso di perdere posizioni, anzi ne ho guadagnata qualcuna. Per i restanti 7 km sono riuscito a lasciarmi andare per il bosco, saltando tra le radici, attraversando torrenti e saltando greti di fiumi... Devo ammettere di essermi divertito, specie perché le gambe incredibilmente tenevano ancora alla grande.
Insomma ho concluso la discesa giurando a me stesso che non farò mai una Dolomites Skyrace o una Carnia, perché sarebbe come costringere una zebra a guidare una harley, ma nella consapevolezza di poter ormai affrontare ogni picchiata sotto i 1700 m di quota senza paura.
Porto a termine questa Camignada poi sie Refuge in 3.30 e alcune decine di secondi (Raptor 1 -Tspanev 0

), in 60sima posizione.
Da volgare stradista quale rimango, riesco anche a recuperare alcune posizioni negli ultimi (terribili) 5 km finali, piani, lungo la ciclabile di Auronzo.
Sono soddisfatto della mia gara, anche perché non era per niente adatta alle mie caratteristiche, ma mi sono difeso molto bene. Ha richiesto un'enorme concentrazione per tutti i 30 km, e sono arrivato tanto stanco di testa quanto di fisico.
Vorrei avere l'opportunità di correre almeno UNA gara, non dico sotto i 30, ma almeno sotto i 35 gradi

(quella di Domenica è stata la giornata più calda nella storia delle Dolomiti, sfido i meteorologi a contraddirmi), per vedere se le prestazioni ne beneficerebbero ulteriormente.
In ogni caso, se penso che non più di cinque mesi fa ero piena preda della Bit, fermo ed imbolsito, credo di potermi - sportivamente parlando - considerare un mezzo miracolato.
Infine:
1) Grazie a Gabriele ed Urbano tutta la compagnia e il divertimento.

Ghebo ormai è un PR del trail affermato. Ogni volta, ci si ritrova circondati di suoi discepoli ed è sempre un ottimo terzo tempo.
E poi complimenti ad Urbano per l'esordio in montagna.Come ti ho già detto, Urbano, sei rovinato. Il virus del lato verde-scuro della corsa è giù in azione, non hai speranze.

Parlo con tutta la cognizione di causa del testimone di geova, a sua volta convertito. Lascia perdere bitume & tabelle, e se ti appaiono in sogno due figure vestite di arancione (l'una bellunese, l'altra trevigiana), seguile!
2) Mi unisco all'urlo che Ghebo a cercato di rivolgere a Fabio "Chi me lha fatto fare??". Pertanto, Fabio, grazie ancora una volta per averCI portato su questi sentieri. Un piacere incontrarti al termine dell'eterna discesa, ed impaziente di rivederti con dietro la line di partenza.
Non scriverò mai più un resoconto così lungo, nemmeno la metà. Chi è arrivato in fondo stremato, ringrazi Trenitalia e i suoi 40/45 minuti di ritardo sul mio treno.
