Dopo gli intervals di ieri oggi ho sofferto un po', ma avevo programmato di fare un lento e quindi ho concluso senza grossi problemi. Correre 10K al giorno per 7 giorni mi sembra comunque molto diverso dal fare per esempio 30+10+18+12, per un totale di 70K settimanali. Il corpo si stressa meno. Le articolazioni hanno il tempo di riprendersi. Anche se certamente conta anche la mia abitudine a camminare lunghe distanze ogni giorno da anni.
Infine, molto meglio correre di mattina (che novità!), quando non si è ancora trascorso molto tempo in piedi o camminando. La differenza la vedo chiaramente questa settimana.
Ieri runningmamy mi ha chiesto se ho "ripreso con la moglie". E' un discorso complicato. Molto complicato, che mi dà lo spunto per stendermi sul lettino per l'autoanalisi e raccontare quello che accade in questi casi.
Tra me e la mia compagna/moglie non esito a dire che c'è stato sempre (34 anni di convivenza ad oggi) un rapporto SPLENDIDO. Parte di questo è dovuto secondo noi anche al fatto che abbiamo sempre vissuto questa routine-non-routine di continue partenze, viaggi, lontananze, arrivi. Ho partecipato a 9 spedizioni in Antartide, compio regolarmente viaggi molto lunghi e il "ritorno a casa", l'uso della mail, etc. è diventata una sorta di routine per noi. Non siamo i soli. Basti pensare a marinai, militari, gente che viaggia per lavoro, etc. Ma certamente abbiamo sempre vissuto questo come un valore, più che un problema, del nostro rapporto.
Abbiamo imparato per esempio - da tempo - che il ritorno a casa non è quella cerimonia affettuosa, e altamente carica di promesse, che si vede nei film. Piuttosto si tratta di un momento difficile da attraversare, in cui le aspettative reciproche raramente coincidono. Come per una maratona, ci si prepara molto bene ad un anno in Antartide. Durante quell'anno poi ci si sente come una specie di "astronauta", con un'ottima organizzazione che ruota intorno a te. Il centro del mondo sei te, la tua avventura, le tue esperienze. Per chi resta a casa c'è meno attenzione, ma le difficoltà sono enormi. Mia moglie lavorava a tempo pieno (un bel lavoro: giornalista radiofonica in un canale pubblico australiano). Nostro figlio aveva 8 anni allora. Soffrì visibilmente della mia assenza, delle rare e recalcitranti telefonate su skype (senza video) o peggio su Iridium, che si interrompevano ogni pochi minuti per un "bug" di quella rete satellitare (in pratica, i satelliti sono disegnati per disconnettere la telefonata quando passano sui Poli, tanto non c'è nessuno ad usarli e così si risparmia energia...!).
Quando tornai dopo un anno di assenza, in cui spesso non parlavo e non vedevo NESSUNO per diversi giorni, lavorando continuamente, soffrendo un freddo micidiale e 6 mesi di notte continua, ero un bel po' a pezzi. In più tutta quell'attenzione crollò di colpo. Per un anno non avevo maneggiato denaro, pagato bollette, lavato piatti, cucinato, riordinato, combattuto per un posteggio. Soprattutto INCONTRATO sconosciuti. Ero vissuto in una bolla, scoprendo che la tribù - perché una stazione antartica d'inverno E' una tribù... - presenta i suoi atavici vantaggi. Di colpo ero di nuovo uno qualsiasi. Alla centesima volta che raccontavo qualche aneddoto a mio figlio lo vedevo trattenere a stento uno sbadiglio.
Questa "sindrome" è ben descritta in un saggio molto interessante ("Extreme", di E. Barret e P. Martin) che tratta degli effetti sull'individuo del partecipare ad un'esperienza estrema. E' interessante che questo include anche i... maratoneti. Infatti la sensazione è proprio la stessa del giorno dopo la nostra prima maratona, quando ci svegliamo per scoprire che, ehi! Di colpo quel grande obiettivo per il quale abbiamo lavorato per anni, faticato sette camicie e a volte anche trascurato le nostre relazioni familiari, è di colpo evaporato e parte del passato. Che fare ora di noi e delle nostre gambe? Perché non gliene importa più niente a nessuno dei nostri programmi e della nostra vita?
Ecco, dopo un anno laggiù la sensazione era proprio quella, solo ancora più grande. Da primo Italiano a passare l'inverno nel buio a tratti rassicurante della notte Antartica, ero ridiventato uno qualsiasi, senza, tra l'altro, un intero team che si faceva carico di tutte le "futili" incombenze quotidiane. E' un'esperienza che accomuna esploratori, winterover, astronauti (pare) e... maratoneti alla loro prima esperienza, fra gli altri.
Tutto questo ebbe un impatto pesante sul nostro rapporto. Non ci fu una bella scopata la prima sera e amici come prima, come si vede nei film, ma un lungo periodo di "riconoscimento" reciproco, attraverso il quale dovremmo riadattarci l'uno all'altro, a condividere (e a limitare) le nostre richieste e il nostro spazio.
Eppure deve aver funzionato, se siamo ancora insieme.

(il lentissimo tramonto a South Pole, cui seguiranno 6 mesi di "notte", 12/3/2003)