Ebbene si, trascorsa oramai una settimana possiamo parlare con serenità di quel che ho vissuto. La serentià urge sempre dopo una Maratona, una gara capace di scombussolarti ogni basilare equilibrio biodinamico; figuratevi quanta serenità occorre dopo una gara (LA GARA) in cui il fattore emotivo è capace di farti moltiplicare all'ennesima potenza ciò che già di consueto avviene. Con ciò non si può tacitare quell'emozione unica che resta ancora viva nel mio cuore, ma a dire il vero non è neppure facile rimuovere quel senso di amarezza per una gara condotta per buona metà con grande sofferenza per dei maledetti ed inattesi crampi presentatisi già dal 22° km e mai sconfitti fino alla finish line. Quel che è certo è che nel mio viaggio di quasi una settimana dentro la Maratona di New York non è mancato nulla, dall'euforia irrefrenabile alla calma solo apparente, dal sorriso di un bambino al consapevole sconforto del dolore, dalla tenacia autoimposta alla frustrazione per l' impossibilità di rispondere con forza e vigore al costante incitamento del pubblico, dalla gioia per la fine di piccolo calvario alla tristezza per la fine di una favola che non avresti voluto finisse mai. Un'altalena di emozioni questa questa Maratona di New York, ho l'impressione di esserci salito come un bambino, di esserci caduto e pertanto di avere voglia di risalirci. Ma non siamo più bambini, non adesso, non ancora...
Per la fredda cronaca, ho concluso comunque in 3:54:44, una mezzoretta in più di ciò che avrei auspicato
UN saluto speciale @SimoGila incontrato come testimoniano le immagini per una carrambata fuori dal circuito Maratona, che manco se lo avessimo fatto apposta ci saremmo beccati.
