Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Che figata @forna75 ! 
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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Ero ad Oyace, eravamo a pochi metri perché stavo anch’io parlando con Guendalina, peccato non averti riconosciuto. Comunque tra i volontari tutti parlavano di te, se diventato famoso come quello che è caduto in strada e stava per essere investito da una macchina.



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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Ahah, che spettacoloCorry73 ha scritto: ↑2 ott 2025, 9:17 Ero ad Oyace, eravamo a pochi metri perché stavo anch’io parlando con Guendalina, peccato non averti riconosciuto. Comunque tra i volontari tutti parlavano di te, se diventato famoso come quello che è caduto in strada e stava per essere investito da una macchina.![]()
![]()

Pensa che arrivando ad Oyace, avevo già in programma di cercarti (sapevo che eri lì come volontor), ma poi purtroppo le priorità sono diventate altre
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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Grande @forna75! Se tira un po' di vento le tue ceneri arriveranno dirette a casa mia! Dì a tua moglie di aspettare un giorno senza vento!
Ma ora aspettiamo di sapere che magia ti hanno fatto i massaggiator. Io confido in loro! Se penso a come mi hanno resuscitato l'anno scorso... Sei in ottime mani!

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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Super complimenti a tutti!!! è sempre super emozionante leggere i vostri racconti.
Seppur in piccolo quest'anno io ho fatto il mio tor come scopa da Bosses a Courmayeur...è stato molto gratificante accompagnare gli ultimi concorrenti al traguardo anche se fuori tempo limite...Cosi emozionante che mi sono deciso ad iscrivermi per il prossimo anno nella speranza che tengano un pò conto di chi ha fatto il volontario

Seppur in piccolo quest'anno io ho fatto il mio tor come scopa da Bosses a Courmayeur...è stato molto gratificante accompagnare gli ultimi concorrenti al traguardo anche se fuori tempo limite...Cosi emozionante che mi sono deciso ad iscrivermi per il prossimo anno nella speranza che tengano un pò conto di chi ha fatto il volontario



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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Siamo con te Forna! (detto un paio di settimane fa...)
"...Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori..."
E trattare allo stesso modo questi due impostori..."
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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Forna ve bene che sei fermo ad Ollomont ma se non scrivi rimani fuori dal cancello



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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025




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Amazing race: su strada 33°VeniceMarathon con acqua alta.
trail: UTMB 2024 Un'esperienza che ti rimane nel cuore
https://www.strava.com/athletes/12683832
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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
In teoria dovremmo avere pazienza, è appena entrato nella leggenda scampando all’investimento…però effettivamente i cancelli rimangono sempre, qualsiasi cosa succeda, quindi il tempo scorre

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Re: Tor Des Geants - Courmayeur (AO) - 12-21/09/2025
Tappa 7: Ollomont – Courmayeur (50 Km, 3.623 D+)
Anche a Ollomont, nonostante non abbia particolarmente sonno, decido di dormire un’ora, per far riposare la gamba, sperando che il dolore passi. Prima però mi faccio trattare dai fisioterapisti, che mi bloccano il movimento della caviglia con una fasciatura fatta a regola d’arte. E’ tempo di ripartire, ma come il giorno prima vorrei fare colazione con brioche e cappuccino; a Valtournenche mi aveva dato una bella carica, ed in questo momento penso di avere bisogno di tutte le energie, fisiche e mentali, possibili. Giacomo è per l’ennesima volta un grande, arriva con la colazione, e lo vedo agghindato in modalità trekking. Ha intenzione di salire fino al Rifugio Champillon per darmi coraggio, e ci accordiamo in modo che lui salga un po’ prima di me e mi aspetti al ristoro; sarebbe una beffa essere squalificati per accompagnamento da parte di una persona esterna alla gara, quindi evitiamo di salire insieme.
Riparto dalla base vita alle 8 in punto, almeno quattro ore in ritardo rispetto ai piani, ma ormai devo dimenticarmi il vecchio TOR e focalizzarmi sul nuovo obiettivo. Saluto Laura e le bambine, la prossima volta che ci vedremo sarà a San Rhemy, fra oltre venti chilometri. Comincio a salire verso lo Champillon, una salita che, in qualsiasi altra gara , potremmo definire dura, ma che qui è normale, quasi facile rispetto alla media. Mi rendo subito conto che non c’è stato nessun miglioramento al dolore, faccio sempre un’enorme fatica a fare dei passettini corti, costringendomi a distribuire il peso del corpo in modo anomalo, e caricando troppo la gamba destra: speriamo di non fare danni. In compenso la giornata è bellissima, imposto la velocità di crociera e cerco di pensare positivo. Dopo un po’ si esce dal bosco e si apre una bella vista su pascoli d’alpeggio; si apre il panorama a 360 gradi e, in alto, si vede in lontananza il rifugio. Man mano che mi avvicino il cuore si riempie di gioia, i volontari suonano i campanacci ed incitano a gran voce chi sta arrivando. Vengo accolto a braccia aperte, ci sono solo io al ristoro… e Giacomo, che mi stava aspettando; mangio un minestrone caldo e mi godo il sole seduto in terrazza, con una musica tirolese (!?) in sottofondo.
Riparto con difficoltà e lentissimo, poco sopra il rifugio c’è il Col Champillon, ed in men che non si dica il penultimo colle della gara è conquistato. Mancano 45 km all’arrivo ed ho 31 ore di tempo per finire: se tengo una velocità di 1,5 Km l’ora ce la faccio. Banale sulla carta, peccato che la discesa sia tecnica ed io abbia un gran male; in un’ora faccio circa un chilometro, non va bene!!
Chiamo Laura, perché non riesco ad andare avanti e le perplessità aumentano: lei è mia moglie ed è una ultratrailer, mi conosce nei miei pregi e difetti personali, e mi conosce come trail runner, mi devo fidare, e mi fido!
Infatti in un minuto risolve tutto: “Fausto è mezzogiorno, hai preso un Brufen? L’ultimo l’hai preso a Oyace stanotte!” Che stupido, l’avevo completamente dimenticato! Prendo subito l’antiinfiammatorio e, nel giro di venti minuti, il dolore è leggermente più sopportabile, e riesco ad avere un passo di 5-10 cm più lungo. Non tantissimo, ma adesso tutto serve. Termino la discesa e percorro una carrareccia in leggera salita che, in dieci minuti, mi porta al ristoro di Pointelle Desot. Altro traguardo importante: il ristoro è fantastico, mangio un piattone di polenta con la salsiccia, buona, faccio il bis. Arriva @augusto losio e ci scambiamo due impressioni al volo, dice che vuole dormire un po’ nella stalla accanto e, dato che lo vedo bere una birra fresca, me ne faccio dare una anch’io. Riparto fiducioso, perché ora mi aspettano dieci km di carrareccia noiosissima ma facile, come andare su strada, i dieci km più brutti del TOR.
Imposto l’andatura migliore che posso, assolutamente ridicola, ma questo passa il convento in questo frangente. In poco più di due ore e mezzo arrivo finalmente a San Rhemy en Bosse, trovo Giacomo fermo in macchina: “bravo sei arrivato al ristoro” – “no, questo è il paese, il ristoro è giù, fra un chilometro” Risale in macchina e va verso il ristoro. Prima di raggiungere il tendone trovo Lisa Borzani: “Bravo, dai che è quasi finita” – “Eh no, brava tu, che hai già finito e sei fresca; come è andata? Non so niente della gara” – “Sono arrivata seconda! Dai vai al ristoro, c’è il Paolin che distribuisce da mangiare, magari ti da un piatto di poenta e osei”. Che forza che è Lisa, passano gli anni, ma è sempre una top runner di una costanza ed affidabilità ammirevoli! Arrivo finalmente al ristoro, accolto da Laura e le bambine, con tanto di striscioni di incitamento; mi scende la lacrimuccia, anzi anche più di una, sono loro con la loro energia che mi stanno portando all’arrivo!
Riposo un po’ anche a San Rhemy, tanto adesso posso anche permettermi di perdere un po’ di tempo: di sicuro non arriverò il venerdì sera, e a questo punto vorrei arrivare a Courmayeur con la luce del giorno il sabato mattina. Riparto alle 19 e saluto per l’ultima volta Augusto, che vedo in forma e pronto per l’arrivo trionfale. Riprendo il mio passo lentissimo, ma sono tranquillo: se non sarò costretto a fermarmi, ho tutto il tempo per gestire gli ultimi chilometri con comodo. Inizio così la lunga salita, anche se facile, che porterà verso il Rifugio Frassati. Cala la notte e accendo la frontale, entro nel vallone di Merdeux, e mi chiedo come si possa chiamare con un nome tanto brutto un luogo così bello. In lontananza vedo già le luci del Frassati, lì in alto; è un’illusione pensare di esserci, perché manca ancora molto. Il sentiero ad un certo punto si impenna e diventa roccioso, è l’ultimo tratto prima del rifugio, non sento più la fatica, sento però delle fitte alla gamba infortunata. Arrivo finalmente al Rifugio prima delle 23. L’orario non è più un problema, ma guardo la gamba, che è gonfissima, sembra un musetto (cotechino) ed ha un aspetto inquietante. Sono preoccupato, e comincio a chiedermi dove stia il sottile confine tra tener duro e finire a tutti i costi, e sapersi fermare per salvaguardare la salute.
Decido in un attimo che la situazione non è grave fino al punto di dovermi ritirare; vedo un dottore, e realizzo che certamente se dovessi mostrargli la mia gamba lui non la penserebbe come me e mi obbligherebbe a fermarmi, e di conseguenza sto ampiamente alla larga dal medico. Dormo un quarto d’ora con la testa sul tavolo, e mi rimetto sul sentiero: ci sono gli ultimi 400 D+ che mi porteranno al mitico Malatrà, l’ultimo e iconico Colle della gara. Avanzo barcollante nel buio, finchè non inizio a vedere il faro lampeggiante in cima al colle. Ora il sentiero si impenna; gli ultimi duecento metri sono tecnici, con corde e scalette, niente di particolarmente difficile in condizioni normali, ma insormontabile nelle mie condizioni. Arrivo al cartello del colle/ forcella senza sapere realmente come ci sono arrivato. Avverto un senso di sollievo, leggo qualche messaggio di incoraggiamento da casa e scatto qualche foto.
Riparto subito, consapevole che non è ancora finita, ed affronto i sei km in discesa che mi porteranno al Rifugio Bonatti. La prima parte del sentiero è ancora rocciosa ed il passo è più lento del dovuto, ma nella seconda parte diventa più scorrevole ed arrivo al rifugio senza troppi patemi. Anche qui mi fermo un bel po’, mangio e finalmente realizzo che ce l’ho veramente fatta. Riparto percorrendo la balconata sul Monte Bianco, sono un po’ dispiaciuto di farlo di notte, perché da qui la vista è pazzesca, ma cerco di immaginare lo scenario, in fin dei conti ho percorso questo pezzo di sentiero diverse volte, e lo conosco bene. Arrivo al Bertone e, pur provato dalle condizioni precarie, sento crescere l’entusiasmo; un’ora prima ho ricevuto i messaggi della mia famiglia: Laura, le mie figlie, ed i miei cognati, che nel frattempo sono arrivati in Valle d’Aosta, sono partiti con le frontali e mi stanno venendo incontro, salendo verso il Bertone, che emozione!!
A metà discesa incontro Paolo, mio cognato, ci abbracciamo, mi fa un sacco di feste, e mi scatta una foto in cui si vede Courmayeur illuminata dall’alto, ormai è finita!
Scendiamo e mi segue sempre a distanza, finchè non incontriamo mia figlia Sara e Caterina… altri abbracci e feste, ormai siamo arrivati alla fine del sentiero ed inizia l’asfalto che porterà al parco Bollino ed all’arrivo. Arrivo al viale principale, lì mi aspetta anche Laura, e le dico che in qualche maniera voglio correre gli ultimi 200 metri, anche se non so ancora come! Arriviamo tutta la famiglia al traguardo, mi sciolgo tra le loro braccia. C’è anche Giacomo, ci siamo tutti, ci abbracciamo di nuovo e facciamo alcune foto. Manca una cosa: anche se sono le 7 del mattino, voglio la birra ghiacciata! Fatto anche questo…
Facciamo colazione e ci dirigiamo verso l’hotel, dove mi addormento prima ancora che Laura riesca a togliermi tutti i bendaggi che ho, tra gamba e piedi, ancora sporco e sudato.
Dormo fino alle 6 di sera e ceniamo tutti insieme, prima di crollare nuovamente sul letto. La domenica andiamo tutti alla cerimonia di premiazione: l’atmosfera è surreale, gli sguardi delle persone presenti dicono più di mille parole, l’emozione è palpabile per tutti.
Sembra di essere tutti consapevoli di aver vissuto un viaggio incredibile, duro e massacrante, ma di una bellezza stratosferica e di un coinvolgimento totale.
Veniamo premiati uno per uno: non riesco a camminare ma sfilo anch’io sulla passerella e mi chiedo ancora come sia riuscito a terminare la gara in queste condizioni: siamo tutti seduti sul prato e scoppio in lacrime. Gioia, dolore fisico, ma anche tristezza perché è tutto finito, perché anche se sei malconcio prepareresti subito lo zaino per ripartire il giorno seguente.
A distanza di quasi due settimane dalla conclusione del Tor des Geants non riesco ancora a camminare normalmente, alla faccia della botta passeggera. Di sicuro guarirò presto, ma è proprio vero che la mente umana riesce a trovare soluzioni e ad adattarsi (e con lei il tuo corpo) alle situazioni più estreme ed impreviste.
La prima volta che fai il TOR è una sfida con un qualcosa che sembra impossibile, vuoi scoprire se sei in grado di portarlo a termine. La seconda volta lo fai perché è stato talmente bello, totalizzante, e ricco di avvenimenti, che vuoi riviverlo, arricchendo l’esperienza con molto altro. Mi chiedo solo: tornerò ancora? Non saprei proprio cosa rispondere, ma mi è impossibile dire di no!
Anche a Ollomont, nonostante non abbia particolarmente sonno, decido di dormire un’ora, per far riposare la gamba, sperando che il dolore passi. Prima però mi faccio trattare dai fisioterapisti, che mi bloccano il movimento della caviglia con una fasciatura fatta a regola d’arte. E’ tempo di ripartire, ma come il giorno prima vorrei fare colazione con brioche e cappuccino; a Valtournenche mi aveva dato una bella carica, ed in questo momento penso di avere bisogno di tutte le energie, fisiche e mentali, possibili. Giacomo è per l’ennesima volta un grande, arriva con la colazione, e lo vedo agghindato in modalità trekking. Ha intenzione di salire fino al Rifugio Champillon per darmi coraggio, e ci accordiamo in modo che lui salga un po’ prima di me e mi aspetti al ristoro; sarebbe una beffa essere squalificati per accompagnamento da parte di una persona esterna alla gara, quindi evitiamo di salire insieme.

Riparto dalla base vita alle 8 in punto, almeno quattro ore in ritardo rispetto ai piani, ma ormai devo dimenticarmi il vecchio TOR e focalizzarmi sul nuovo obiettivo. Saluto Laura e le bambine, la prossima volta che ci vedremo sarà a San Rhemy, fra oltre venti chilometri. Comincio a salire verso lo Champillon, una salita che, in qualsiasi altra gara , potremmo definire dura, ma che qui è normale, quasi facile rispetto alla media. Mi rendo subito conto che non c’è stato nessun miglioramento al dolore, faccio sempre un’enorme fatica a fare dei passettini corti, costringendomi a distribuire il peso del corpo in modo anomalo, e caricando troppo la gamba destra: speriamo di non fare danni. In compenso la giornata è bellissima, imposto la velocità di crociera e cerco di pensare positivo. Dopo un po’ si esce dal bosco e si apre una bella vista su pascoli d’alpeggio; si apre il panorama a 360 gradi e, in alto, si vede in lontananza il rifugio. Man mano che mi avvicino il cuore si riempie di gioia, i volontari suonano i campanacci ed incitano a gran voce chi sta arrivando. Vengo accolto a braccia aperte, ci sono solo io al ristoro… e Giacomo, che mi stava aspettando; mangio un minestrone caldo e mi godo il sole seduto in terrazza, con una musica tirolese (!?) in sottofondo.

Chiamo Laura, perché non riesco ad andare avanti e le perplessità aumentano: lei è mia moglie ed è una ultratrailer, mi conosce nei miei pregi e difetti personali, e mi conosce come trail runner, mi devo fidare, e mi fido!



Riposo un po’ anche a San Rhemy, tanto adesso posso anche permettermi di perdere un po’ di tempo: di sicuro non arriverò il venerdì sera, e a questo punto vorrei arrivare a Courmayeur con la luce del giorno il sabato mattina. Riparto alle 19 e saluto per l’ultima volta Augusto, che vedo in forma e pronto per l’arrivo trionfale. Riprendo il mio passo lentissimo, ma sono tranquillo: se non sarò costretto a fermarmi, ho tutto il tempo per gestire gli ultimi chilometri con comodo. Inizio così la lunga salita, anche se facile, che porterà verso il Rifugio Frassati. Cala la notte e accendo la frontale, entro nel vallone di Merdeux, e mi chiedo come si possa chiamare con un nome tanto brutto un luogo così bello. In lontananza vedo già le luci del Frassati, lì in alto; è un’illusione pensare di esserci, perché manca ancora molto. Il sentiero ad un certo punto si impenna e diventa roccioso, è l’ultimo tratto prima del rifugio, non sento più la fatica, sento però delle fitte alla gamba infortunata. Arrivo finalmente al Rifugio prima delle 23. L’orario non è più un problema, ma guardo la gamba, che è gonfissima, sembra un musetto (cotechino) ed ha un aspetto inquietante. Sono preoccupato, e comincio a chiedermi dove stia il sottile confine tra tener duro e finire a tutti i costi, e sapersi fermare per salvaguardare la salute.

Decido in un attimo che la situazione non è grave fino al punto di dovermi ritirare; vedo un dottore, e realizzo che certamente se dovessi mostrargli la mia gamba lui non la penserebbe come me e mi obbligherebbe a fermarmi, e di conseguenza sto ampiamente alla larga dal medico. Dormo un quarto d’ora con la testa sul tavolo, e mi rimetto sul sentiero: ci sono gli ultimi 400 D+ che mi porteranno al mitico Malatrà, l’ultimo e iconico Colle della gara. Avanzo barcollante nel buio, finchè non inizio a vedere il faro lampeggiante in cima al colle. Ora il sentiero si impenna; gli ultimi duecento metri sono tecnici, con corde e scalette, niente di particolarmente difficile in condizioni normali, ma insormontabile nelle mie condizioni. Arrivo al cartello del colle/ forcella senza sapere realmente come ci sono arrivato. Avverto un senso di sollievo, leggo qualche messaggio di incoraggiamento da casa e scatto qualche foto.
Riparto subito, consapevole che non è ancora finita, ed affronto i sei km in discesa che mi porteranno al Rifugio Bonatti. La prima parte del sentiero è ancora rocciosa ed il passo è più lento del dovuto, ma nella seconda parte diventa più scorrevole ed arrivo al rifugio senza troppi patemi. Anche qui mi fermo un bel po’, mangio e finalmente realizzo che ce l’ho veramente fatta. Riparto percorrendo la balconata sul Monte Bianco, sono un po’ dispiaciuto di farlo di notte, perché da qui la vista è pazzesca, ma cerco di immaginare lo scenario, in fin dei conti ho percorso questo pezzo di sentiero diverse volte, e lo conosco bene. Arrivo al Bertone e, pur provato dalle condizioni precarie, sento crescere l’entusiasmo; un’ora prima ho ricevuto i messaggi della mia famiglia: Laura, le mie figlie, ed i miei cognati, che nel frattempo sono arrivati in Valle d’Aosta, sono partiti con le frontali e mi stanno venendo incontro, salendo verso il Bertone, che emozione!!

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La prima volta che fai il TOR è una sfida con un qualcosa che sembra impossibile, vuoi scoprire se sei in grado di portarlo a termine. La seconda volta lo fai perché è stato talmente bello, totalizzante, e ricco di avvenimenti, che vuoi riviverlo, arricchendo l’esperienza con molto altro. Mi chiedo solo: tornerò ancora? Non saprei proprio cosa rispondere, ma mi è impossibile dire di no!
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