[DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

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amay450
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[DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

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Ciao a tutti ecco quello che ho fatto, provato e sentito nello sforzo più duro che abbia mai affrontato
Spero di non annoiarvi troppo

Questo è territorio e la traccia del percorso:

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DIARIO DELLA CORSA

1° giorno – 20 marzo 2012 Partito da Douz alle 6 con uno yogurt in canna, lascio l’Hotel 20 Mars con uno zaino decisamente più pesante del previsto, ma la prima parte asfaltata scorre abbastanza bene, mentre le gambe prendono il ritmo.
La velocità è fortemente penalizzata dal peso, e, manco a farlo apposta il vento viene da Sud, nelle salite sulla sabbia è un’agonia. La nota positiva è che, probabilmente, è piovuto qualche giorno fa e i cespugli sono fioriti, il profumo è inebriante, all’inizio non capivo da dove venisse perchè i fiori sono piccolissimi e non li avevo notati.
Alle 10,50 sono al caffè “La porte du desert”, ho percorso 37,5 km. Bevo una coca e due the per la cifra esagerata di 3DT (1,5 €) e rimango a chiacchierare un paio d’ore in italiano con il figlio di Hedy Haji Brahim (famosa guida).
Alle 14,30 sono al caffè “La tente”, visto che non mi corre dietro nessuno mi fermo mezz’ora e bevo due aranciate, qui il proprietario è più esoso e vuole 6 DT.
Alle 16 sono al “caffè du parc” Jebil, Majid il capo e Amor il suo dipendente mi accolgono un po’ stupiti, ormai nemmeno più gli indigeni si muovono a piedi. Lungo la strada, a causa del vento mi sono reso conto che non è possibile cucinarsi qualcosa col fornello e ho rinunciato al pranzo, ma ho maturato la convinzione che se trovo da dormire nei bar mi risparmio la guerra con la tenda senza materasso.
Majid mi concede alloggio e cena a 20 DT (che è più di quello che paghiamo io e il Luca a Douz per una stanza doppia con colazione) ma va bene, dato che non c’è concorrenza e precisa che si mangia cous cous au legumes, visto che non ho prenotato e non ha carne. Va bene tutto e risparmio di cucinare. Parlando gli dico cosa mi propongo di fare e lui, per tutta risposta sbarra gli occhi, se possibile, ancora più di prima. Non dice nulla per un po’, ma evidentemente ci riflette, perché poi mi dice che non ce la posso fare; vedrai, gli rispondo, dopodomani sera sarò di nuovo qui! Scuote la testa, non ci crede… non mi resta che deluderlo! I motivi per farcela aumentano progressivamente, non mi lamento, combustibile pe il motore del mio orgoglio.
Qui mi spiega che c’è acqua a volontà perché la porta con il trattore del parco da un pozzo a qualche km di distanza. Mi frego una catinella per mettermi in piedi e una bottiglia d’acqua per fare una doccia economy dietro al bar, finisco appena in tempo per non farmi beccare da una comitiva di turisti tunisini. Sono gentili mi offrono un biscotto fatto in casa, Majid mi spiega che è festa per le scuole e un sacco di persone lasciano le case per stare qualche giorno nel deserto, infatti nei giorni successivi ne incontrerò altri.
I baristi mi chiedono se voglio cenare con loro e i loro amici guardaparco e io accetto di buon grado, così verso le 19, ormai buio, con la pila frontale, andiamo alla torretta dove vivono, in stanze veramente tristi con un piccolo televisore portatile e mangiamo su una stuoia distesa sul pavimento riscaldati da un braciere che è stato una padella in alluminio ed ora è semifusa da innumerevoli riscaldamenti.
Majid mi chiede se voglio un piatto o mi va bene di mangiare come loro, io, un po’ per curiosità e un po’ per non offenderli opto per il piatto comune, come è loro abitudine e, mentre il barista prepara il vassoio d’alluminio gigante con il cous cous e le verdure che ci siamo portati dal bar, uno dei guardaparco prepara la teiera berbera. Entrambe le operazioni vanno raccontate perché sono caratteristiche. La teiera è di quelle smaltate a boccia con manico da un lato e becco dall’altra tipica del luogo, ha un diametro di una dozzina di centimetri, capirete ora il perché della precisazione. Ci mette circa un bicchiere d’acqua, quattro pugni di the nero e quattro pugni di zucchero, roba da asciugare completamente l’acqua, mescola e mette la teiera sulle braci. Nel frattempo M. ha steso la semola inumidita con qualche cucchiaio di brodo nella teglia e, con una cura religiosa ha cominciato a mettere con gesti circolari in brodo sullo strato di semola, distribuendoci sopra con la stessa attenzione le verdure alla fine. Un cucchiaio da minestra ciascuno e via, a mangiare il proprio lato, con l’arco che si va allargando sino a toccare quello del vicino e poi finire al centro del piattone ormai vuoto; a questo punto non sono arrivato, ero sazio ben prima. A me è toccata anche un’arancia come dessert.
Dopo quasi un’ora di bollitura è stata la volta del the che viene fatto colare dall’alto nel bicchiere e rimesso nella teiera più volte, finchè l’operazione non produce una schiuma, indice del momento di berlo. Viene versato in bicchierini minuscoli tipo quelli da superalcoolico ma grandi poco più di un ditale; per gentilezza lo fanno assaggiare anche a me, ma sanno già che è troppo forte: hanno ragione, forse potrei anche abituarmi, sorseggiandolo molto lentamente, ma è così poco e per loro così sfizioso che non me la sento di privarli di una dose. Mi dicono che alla seconda volta sarà più facile da bere, infatti rimettono l’acqua con lo stesso fondo e lo rifanno, questa volta sarà quasi normale .
Alle 21 mi si stanno denergizzando i circuiti, ormai la giornata è stata lunga per me, e dopo un po’ di chiacchiere un po’ in arabo (loro) e un po’ in francese (anch’io), Amor mi accompagna al bar dove mi ficco nel sacco a pelo ed in men che non si dica sprofondo nel mondo dei sogni.
Oggi ho percorso 54,5 km correndo per circa 7 ore e mezza, non ho piaghe né dolori, ho fatto un po’ di stretching e la doccia, sono riuscito ad invire messaggi per tranquillizzare la famiglia(anch’io ne ho una, ed è normale, si preoccupa, non come me).
TOTALE 54,5 KM



2° giorno – 21 marzo 2012 Questa mattina è più complicata di ieri, che avevo lo zaino già pronto. Per la prima volta faccio colazione con i viveri: una barretta, frutta secca, un fruttino e un carico d’acqua. Carico tutte le borracce della cintura, nella taschina metto un enervitene GT e il tubo di enervit, oltre al burrocacao. Metto fazzolettini e salviettine umide nella tasca laterale di rete per esigenze immediate, nella tasca superiore dello zaino ci sono le esigenze alimentari della tappa, un altro enervitene, il miele pack, due barrette e un po’ di frutta secca; gli occhiali da lettura e da sole, il telefono, il portafoglio, la pila frontale, le batterie di riserva e gli occhialoni da moto con lente trasparente in caso di vento di sabbia.
Nella tasca sotto la chiusura ho solo la bussola, occhiali da sole essenziali di riserva e l’accendino. Nel sacco a destra e sinistra le 2 bottiglie d’acqua, in mezzo, a salire, busta con fornello e piastrine di meta, tazzone d’acciaio (pentola) con le 3 buste di primi della coop e il telo in microfibra all’interno, sacchetto con abbigliamento di ricambio (1 pantaloncino 1 maglietta 1 sotto tuta termico 1 giacca antivento leggera 4 paia di calzini, 1 scatola rettangolare da gelato piena di prugne, uvetta, frutta mista e mandorle secchi, Pacchetto con la scorta di barrette 4 al g, fruttini 1g, miele 2pack, enervitene 2g, reintegratore salino2g; farmacia con Dissenten, Aspirina, Tachipirina, Aulin, cerotto, garza e vaselina.
Lo zaino è pieno, il rotolo del sacco a pelo 900gr e della tenda Ferrino lightent 1,5kg sono legati all’esterno ai lati con cinghie di nylon, inizialmente pensavo di metterli sul davanti per bilanciare il peso, ma non ne ho sentito la necessità, essendo tutto incollato al profilo della schiena vicino al baricentro. Lo zaino è un Monviso della Ande, ha un bastino elastico che tiene il sacco staccato dalla schiena e appoggia solo su uno schienale di rete, consentendo un’ottima ventilazione e prevenendo le piaghe.
Ho finito di preparare lo zaino, ieri il cielo era velato ed ho corso con la maglietta, rimediandomi un’arrossatura generale, non proprio una scottatura, ma insomma; oggi parto con la giacca antivento. Verso le 6 Saluto Amor e mi avvio a cercare la pista, che è sotto alla collinetta dove sorge il bar, ma non è per nulla evidente alla luce ancora scarsissima. La seguo con l’abituale rigidezza mattutina, il movimento prende fluidità piano piano, ma nel contempo anche il vento contrario rinforza, e non aiuta per nulla, dato che la pista, pur se prevalentemente a fondo solido è in continua, anche se morbida, salita. Piano piano mi ritrovo a correre piegato in avanti, montano su alcune colline devo rinunciare a correre, è troppo duro sommato al vento, mi sfianca. Sono costretto a mettere gli occhialoni da moto per proteggere gli occhi dalla sabbia e il velo che tengo sulla bocca e sul naso per trattenere un po’ di umidità, adesso ripara anche dalla sabbia , che, comunque, mastico in quantità.
Fin dall’inizio sto correndo con il GPS in mano, è un palmare garmin gpsmap 60 CSX, che mi segue in volo, in moto, in auto, a piedi; la traccia prevede una curva della pista che non riesco a individuare, il vento cancella le tracce e la visibilità non è ottimale: decido di rimanere sulla pista marcata che procede diritto. Finisce il terreno compatto a lunghe colline, cominciano le lingue di sabbia e poi le dune, la pista scompare qua e la e alla fine mi trovo al campo “Grand erg orientale”, ci ero passato nel novembre scorso in moto. Nella mente mi ronzava l’idea che la vecchia pista fosse stata soppiantata da una più diretta e pensavo di tagliare diretto verso la meta, in caso di necessità, più avanti. Mi infilo nel campo ma non si vede nessuno, con grande sollievo trovo un gruppo di ragazzi con i loro motorini dentro una specie di hangar che parlano e fanno manutenzione. Le “mobylettes” hanno tutte un grande faro montato davanti, questi poveretti campano come possono, sono cacciatori di gazzelle e la notte solcano le dune alla luce del faro con una padronanza da far invidia ai motociclisti della Paris Dakar.
Anche loro, vedendomi sgranano gli occhi, li saluto e parliamo, mi offrono da bere e chiedo loro consiglio. Mi confermano che ho superato il bivio da 12 km ed è difficilmente visibile perché non c’è una pista vera e propria, ma un colossale imbuto di tracce che dopo qualche km converge nella pista che mi serve. Uno di loro è più esperto, è una guida, e vista la mia perplessità mi propone di dormire con loro e partire l’indomani, poi, vista la mia ritrosia mi porta sulla duna più alta e mi mostra una direzione (lui non ha bisogno di bussola o di gps, probabilmente come i piccioni sente il campo magnetico terrestre) mi dice: tieni questa direzione, le dune sono più basse, più avanti trovi anche un tratto quasi piano e finisci per intercettare la pista che ti serve.
Mi danno una bottiglia d’acqua e mi salutano calorosamente, qui un incontro è quasi una solida amicizia, ci si trova ci si misura con uno sguardo e si capisce che ci si può rispettare ed aiutare, riparto con 11,5 km di dune prima di arrivare alla pista e nessuna traccia .
Qui correre è impensabile, seguo la linea di minor fatica sulle creste, dove è possibile, procedendo con il tracciato di una gallina ed allungando considerevolmente per risparmiare energia. Dopo un tempo che mi pare infinito, badilate di sabbia sollevate dai piedi, salite e discese continue e sollecitazioni di tutti i tipi ai piedi arrivo in vista della pista. Oggi mi sono fermato meno di mezz’ora al campo, ho superato da un po’ i 40 km e me ne mancano circa 18, sono spezzato dal su e giù nelle dune e gli spallacci dello zaino mi fanno un male da bruciore agli occhi, ma non cedo, mi fermo solo di tanto in tanto per rifornire d’acqua le boccette o prendere qualcosa da mangiare. Anche i denti mi danno fastidio, si sono sensibilizzati a forza di stare a contatto con i dolci, metto in bocca mezza pastiglia di enervit ogni mezz’ora e sento molto più giovamento fisico rispetto all’enervitene. Il reintegratore salino è magico, quando il tenore di sali scende, con la sudorazione e la diluizione causata dal bere acqua, l’organismo si fiacca progressivamente, ma bevendo il reintegratore recuperi il tono tutto in un colpo, è incredibile, come se intervenisse il turbo.
Dopo un tratto di pista relativamente comoda iniziano forti saliscendi, fondo di pietre spaccate e poi ancora dune fino all’oasi di Ksar Ghilane. Dopo una grande curva che contorna un colle la pista si tuffa in una ripida discesa e si entra nelle dune, davanti sulla sinistra ecco apparire l’agognato fortino, indica che l’oasi non è lontana, si intravedono le palme all’orizzonte.
L’avamposto, fondato dai romani in epoca remota, è stato rimaneggiato dai francesi nell’epoca coloniale, abbandonato ed ora un chiosco che vende bibite e souvenirs ai piedi della grande duna su cui sorge la costruzione accoglie i turisti in moto, quad, jeep e …a piedi nel mio caso.
In quest’ultimo tratto trovo parecchio traffico, gente che chiude la giornata raggiungendo l’oasi. Con calma e grande fatica ci arriverò anch’io, mi sogno il laghetto di acqua calda tra le palme, sicuro sollievo per i piedi che mi sento in fiamme.
Abituato ad arrivare in moto non fa differenza l’approccio, tanto c’è il motote, ma il fronte dell’oasi è enorme e a piedi un km in più adesso non sarebbe gradito. Mi butto a naso e sbaglio di poco, arrivo al solito campeggio che si affaccia sulla pozza e scaricando lo zaino mi butto su un divano della reception, sono le 18,30, oggi non mi sono riposato più di un’ora complessiva ed ho percorso 62 km, mi sembra di avere un ragno meccanico che stringe la schiena e le spalle, le gambe vanno, straodinario!
Il tale alla reception, al quale chiedo un posto nelle tende con rete e materasso del campeggio mi dice va bene, mi fa accompagnate da un aiutante e mi dice che la cena è alle 19. Vado e con mia sorpresa mi accompagna in un terreno dove c’è una moto svizzera ed un igloo, ho un tuffo al cuore, mi viene male a montare la tenda, ma non ho voglia di tornare a contrattare, butto a terra lo zaino e con dolori feroci alla schiena a stare piegato mi monto la tenda e butto tutto dentro. Ormai è ora di cena e non nascondo di avere fame, vado, lercio come sono, alla sala da pranzo a mi fanno accomodare ad un tavolo don una coppia tedesca; cerco di setermi il più lontano possibile per non causargli danni permanenti al naso. Come sempre attiro l’attenzione, mangiando mi chiedono, mi offrono un bicchiere di vino cileno che si sono portati da casa col camper Unimog, anche loro sbarrano gli occhi quando sentono cosa faccio, ma ormai sono abituato a causare paresi facciali. Quando servono la minestrina mi convinco che non ci sarà molto di più, così la fagocito con una baguette intera, poi arrivano due brik a l’euf ed, infine, a spezzarmi un cous cous al pollo. Sto scoppiando e non ho ancora cancellato l’idea del bagno nel laghetto, così, a rischio congestione, mi svesto e mi butto in acqua. Ho una bolla notevole sul fianco di un tallone, la svuoto e resto in ammollo come un coccodrillo per un’ora; è magnifico, tiepido e rilassante, piano piano i dolori si affievoliscono e mi sento bene, sopra di me, tra i rami di eucalipto che circondano il lago il cielo è fantastico, è l’hotel des milles etoiles che solo il buio del deserto ti mostra. Alla fine esco e tremando come una foglia per il freddo mi asciugo e mi vesto, vado alla tenda dopo aver preso la colazione che mi hanno preparato (domani parto troppo presto per loro) e svengo nel mio minuscolo tendino, affollato dai miei puzzolenti averi.
TOTALE 116,6 KM



3° giorno – 22 marzo 2012 Dormire nel tendino senza materasso è tosto, mi sono svegliato parecchie volte, la sveglia suona troppo presto, alle 5 e 20, ripiego, mangio la colazione di pane burro marmellata e formaggini, un uovo sodo ma niente da bere, solo acqua. Finisco di ripiegare e preparare lo zaino (fortuna, niente umidità, tenda asciutta) e alle 6,30 parto camminando, il primo pezzo nelle dune me lo concedo di riscaldamento e sopra la salita nei pressi del forte inizia la corsa, dopo le colline pietrose ritrovo la discesa dove al fondo si piega a sinistra, c’è ancora un branco di cammelli al pascolo, mi guardano con i loro occhioni miti e non troppo intelligenti, ci sono dei piccoli veramente cuccioli e teneri. Ogni tanto qualche dettaglio del panorama mi riporta alla realtà dal mio mondo di pensieri sogni e riflessioni; ti ritrovi non sai come con la mente posata sulle cose più strane e non ricordi come ci sei arrivato. Da qui la pista è un po’ angosciante, ne vedo almeno 6 km che procedono dritti come una spada salendo e scendendo attraversando lingue di sabbia e forre scavate da torrenti alluvionali generati dalle improvvise e feroci piogge che colpiscono, raramente, queste zone; uno oued, così si chiamano, è addirittura indicato da una fettuccia rossa appesa ad un arbusto che si vede da lontano, è pericoloso, se arrivi veloce col fuoristrada o con la moto e lo vedi tardi precipiti per almeno 8 metri. Ad un certo punto comincio a sentire rombare dei motori, alcuni di moto, alcuni di vetture ed altri di mostri che ululano rabbiosi come delle F1, sono alla mia destra, passano come i fulmini ma non li vedo, deve esserci una pista non troppo lontano dietro i rilievi (ne avevo notata una che proseguiva dove ho curvato, evidentemente anche quella curvava più avanti).
Con questa compagnia solo sonora proseguo fino a perdere di nuovo la pista che svanisce, ma questa volta me ne frego, seguo approssimativamente la traccia che ho sul gps, adesso sono sicuro che dall’altro lato la pista c’è, l’ho percorsa ieri! Incontro delle sagome che mi osservano da una duna, avvicinandomi mi approcciano dei bambini con un cane al guinzaglio, vogliono invitarmi al loro campo, mi dispiace, ma con tutta la gentilezza possibile rifiuto, voglio arrivare al caffè che c’è oltre le dune, all’andata l’ho mancato con il taglio diretto.
Piano piano mi ricollego alla pista dove vedo passare ancora qualche mezzo, è la carovana della corsa Libya Rally, adesso si spiega il rombo troppo professionale di alcuni motori che sentivo.
Finalmente si vede il cordone di dune da attraversare, dovrebbe esserci un caffè da questo lato, lo incrocio ma non c’è nessuno, è sbarrato affronto una lunga salita ed arrivo alle propaggini della sabbia, in fondo, sulle dune alte vedo gente a piedi, mi immagino un veicolo che non riesce a disinsabbiarsi. Intanto sono costretto a passare in posti scomodi perché continuano a passare camion e vetture. Finalmente arrivo sulle dune e mi rendo conto che i formichini a piedi erano i fotografi che aspettano in una zona spettacolare il passaggio dei concorrenti. Mi fotografano come se fossi uno di loro e mi si avvicinano per esprimermi il loro apprezzamento, per chiedere, vogliono il mio indirizzo email per mandarmi le foto, sono gentilissimi, mi fanno sentire un supereroe, roba da volare via come superman, ma sono ridotto come un “Capitan Ventosa”, è il massimo dell’eroismo che mi riesce, adesso fa veramente caldo, sto colando, e il fondo è faticosissimo. Ancora una mezz’ora e arrivo al mitico cafe Bibene, me lo sognavo da un po’. Già in lontananza vedo dei mezzi parcheggiati intorno alla capanna di foglie di palma, ancora una volta mi sorpassa un quad blu, alla guida una ragazza, la stessa che le altre volte mi salutava con un saluto simil militare, adesso la riconosco…è Isolde la fotografa.
11,30, Finalmente sono al bar e fortunatamente c’è gente, ovviamente con la solita paresi quando mi vedono arrivare a piedi, perché sono in riserva con le batterie del gps, è vero che ormai sono fuori dalle curve, ma non si sa mai; ad ogni modo un italiano gentilissimo mi regala un pacchetto di batterie a fronte delle due che mi bastano (nel deserto non si nega mai niente a nessuno se solo è possibile). Ho fatto 30 km, ancora 29, intanto mi ristoro con un the berbero e una coca, tutti i clienti se ne vanno ed io faccio amicizia con il barista. Nel mentre è successa una cosa singolare, ho zuccherato il mio the e l’ho lasciato sul tavolo mentre cercavo le pile, tempo 5 minuti e quando torno il bicchiere è vuoto, incredibile, qualcuno se l’è bevuto!
Offro al barman un po’ di frutta secca e un fruttino e lui in cambio mi dà tre arance, mi sogno la frutta fresca, e un succo tropicale, scambiamo un po’ di parole e alle 12,45 riprendo la corsa. Dopo un tempo imprecisato raggiungo un successivo caffè che è chiuso e mantenendo la traccia gps quando perdo la pista, continuo sino a ritrovare il punto mancato ieri. Dicono che a marcare la curva c’è un copertone di camion, ma non l’ho visto nemmeno oggi. Sono ormai sui saliscendi di terra battuta e ciottoli quando trovo un copertone (non quello giusto) e mi fermo a fare uno spuntino; da qui vedo in lontananza alla mia sinistra tre enormi camion gialli che all’inizio non sono che uno sbuffo di polvere, poi diventano puntini ed infine un 8x8, un 6x6 e un 4x4, tutti con una specie di gobba vetrata nel posteriore; passano e non si accorgono nemmeno del solitario corridore che li osserva da lontano. Mentre la mente vaga procedo sulla mia strada, deliziato dal succo tropicale consumato nella sosta, fino a trovarmi la recinzione alquanto aleatoria e intermittente del parc Jebil, prova tangibile che non sono più così lontano dalla meta. Corro gli ultimi 10 km con notevoli fastidi a un piede, ma un ritmo ed un’energia che stento a capire. Quando, finalmente intravedo la collina del bar e la torretta bianca dell’ingresso al parco spostata a sinistra una scarica di adrenalina mi colpisce, sembra di poterli toccare per quanto sono vicini, illusione data dalla visibilità perfetta. Dovrò ancora correre parecchio per arrivare a vedere che intorno al bar c’è una ressa di camion, auto, tendoni, igloo e stendardi a vela ad indicare che anche il Libya Rally ha scelto come bivacco il cafe du Parc. Sono ormai ai piedi della collina e con un ultimo sforzo arrivo ai primi mezzi del campo quando tra le persone che vedevo osservarmi due mi si avvicinano, sono i fotografi Isolde e Jan, sempre entusiasti delle mie prestazioni, vogliono portarmi a vedere le mie foto che hanno già versato sul portatile. Gli spiego che vorrei almeno arrivare e appoggiare lo zaino, poi sarò pronto a vedere le foto con piacere, superato l’entusiasmo si sono resi conto che sono un po’ provato ed ho bisogno di un attimo per riprendermi.
Majid corre a destra e a sinistra indaffarato a soddisfare le richieste dei clienti e quando mi vede rimane un attimo sorpreso, non ci contava di rivedermi, mentre alle 18 ero a chiedergli un letto. I libian sono autonomi, ma lui ha una comitiva di motociclisti siciliani con guida e non mi sembra troppo convinto di avere posto anche per me, ma alla fine mi sistema. Prima cosa pediluvio di acqua e sale in un secchiello seduto fuori dal bar, mentre contemplo il bordello del campo, con la logistica in azione: cucina da campo al lavoro, area refettorio pronta con dozzine di tavoli e panche, camion cambusa con cella frigo da paura, generatore grande come una 500, luminarie che pavesano l’area tra i camion supporto, assistenze che si affannano sui mezzi…insomma, l’attività ferve, dopo il momento degli equipaggi ora è la volta del supporto.
Superato il momento di riposo mi aggiro a curiosare e finisco con i fotoreporter nell’area stampa, mi mostrano nei loro, scontati, mc book pro il frutto della giornata di lavoro e le mie foto. Sono tutte bellissime, si vede che sono dei professionisti di caratura dagli scatti, dall’attrezzatura (Jan mi mostra un prototipo Nikon che ancora non è in commercio, ha il compito di testarlo in questo ambiente ostico) e dalla disinvoltura e padronanza con cui si muovono in Lightroom4. Mi raccontano, mi spiegano, mi mostrano (Isolde ha un obbiettivo che a causa della sabbia non scorre più bene) e io che sono curioso chiedo ancora di più, vago tra le postazioni dove si preparano i road-book per domani, dove caricano i dati sui gps dei concorrenti (che sono come il mio) e non mi stanco mai. Ad un cero punto qualcuno mi chiama e mi chiede se mi va di essere intervistato da un giornalista di Libya sport tv, non vedo perché no e così, seduto su una panca con lo sfondo del campo mi fa le abituali e lecite domande, chi sei, da dove vieni, ma perché corri, come mai proprio qui, perché da solo, perché così tanta strada…..mentre il cameraman dotato di telecamera e microfono peloso mi guarda dal suo occhione di vetro. Accidenti, te ne vai da solo in un deserto e non riesci a sfuggire al momento di notorietà che era stato scritto nel destino.
Ormai è l’ora di cena e, siccome i siciliani si sono accaparrati tutti i posti, Majid mi porta nel retrobancone a mangiare ad un tavolino come faresti con un vecchio amico, mi scarica un paio di brik al tonno piuttosto piccanti ma buoni e un piatto monumentale di fusilli, sorprendentemente al dente, alla fine c’è l’arancia.
Scambio quattro parole con uno e con l’altro, vado a vedere un po’ di mezzi della corsa, c’è una porsche 4x4 italiana, il navigatore è Roberto Musi e c’è anche la sua morosa (uniche persone che conosco) e arrivo alla fine delle energie così mi vado a sprofondare in un materasso, questa notte…che lusso rispetto a ieri! Riesco persino a scrivere il diario prima di svenire.
Oggi 59,5 Km, poco riposo e piedi fumanti, ho l’unghia dell’alluce destro che mi dà fastidio.
TOTALE 176,1 KM



4° giorno – 23 marzo 2012 Immancabile alle 5,20 la sveglia si fa sentire (per non perdere l’allenamento del lavoro)sono circondato da dormienti, districarsi e recuperare tutto il materiale è un’impresa; mi porto tutto nel lato bar-sala da pranzo, mentre Majid prepara il pane appoggiando delle pagnotte a cuocere su un piatto di terracotta scaldato dalle braci e Amor armeggia portando legna e acqua. Colazione alla solita maniera ma allietata da un the caldo, preparo tutto e verso le 6,30, dopo aver salutato gli amici, parto duro come Pinocchio a scendere il piccolo tratto asfaltato che porta all’imbocco del parco.
Tutto il mondo del Rally è profondamente addormentato, non viene un rumore dalle tende e dai camion, gli equipaggi riposano dallo sballottamento della gara, i meccanici dalle fatiche serali di manutenzione e riparazione, la logistica dalla faticaccia di montare il circo e farlo funzionare…insomma, solo io che mi godo il panorama in 1^ classe senza fatica e sballottamenti mi alzo presto!
Il cielo è velato ma continuo a tenermi la giacchetta contro il sole, poco dopo la partenza schiarisce e sento scendere delle gocce, nuvoloni bigi all’orizzonte non promettono nulla di buono, è l’ansia di oggi quella di trovarsi sotto scrosci torrenziali, come mi è già capitato, che allagano tutto (in moto non è stato simpatico, ma sono certo che a piedi senza riparo sarebbe peggio). Con calma arrivo al grande curvone e poi al caffè “la tente”, ma questa volta non mi fermo, l’ho appena superato quando il gestore esce a salutarmi, un gesto di risposta con il braccio e proseguo, la mia meta è “La porta del deserto”, devo fare almeno 18-20 km, anche se è l’ultima tappa non mi devo sbragare. Con pazienza e sotto la pioggerella appena appena percepibile arrivo in vista della caserma che è poco lontana dal bar; i piedi mi danno già fastidio, oggi ci hanno messo poco a diventare molesti. Al bar c’è solo Haji, parla con un militare della caserma, unico cliente, il figlio non c’è; mi tocca salvare gli incassi della giornata, eccomi quindi alla coca e poi al the. Smonto lo zaino in cerca della farmacia, tolgo scarpe e calze come sempre noi facciamo quando andiamo al bar in Europa, gli faccio prendere un po’ d’aria e poi medico le dita e i talloni col cerotto sfigato di carta, non avendo quello di seta.
Facciamo quattro chiacchiere in francese e dopo 45’ di sosta riparto. La giornata è cambiata, adesso c’è il sole e fa caldo, il mio consumo d’acqua aumenta decisamente ed anche la mia sofferenza ai piedi, quando incontro dune e discese i dolori sono veramente fastidiosi. Percorsi circa 35 km siamo intorno a mezzogiorno e, avvistato un cespuglio di simil-erica tutto fiorito, mi ci butto sotto, è l’unico che ho incontrato grande abbastanza da fare un po’ d’ombra. Sono ricomparsi in gran numero i fiori profumati ad alleviarmi la sofferenza e a distrarmi un minimo. Bevo abbondantemente, il sole si fa sentire, la fregatura è la logistica di questa tappa che ha 2 bar all’inizio e poi, quando serve…più nulla. Ci rifletto e decido di piegare il destino a mio favore fermando un fuoristrada di turisti e chiedo una bottiglia d’acqua, mi guardano un po’ strano, chiedono se va tutto bene e mi danno l’acqua senza problemi. Adesso ho anche la riserva, non ci sono problemi.
Pranzo a barrette e frutta che ormai sono alla fine, alleggerendomi lo zaino, peccato per il cibo, la gavetta, il fornello, la meta, cose che mi sono sgroppato inutilmente; anche la tenda volendo si poteva evitare, ma così ho tenuto fede al mio proposito di autosufficienza.
Ristorato dal cibo, dai liquidi e dal riposo riparto per gli ultimi interminabili 20 km, adesso alterno tratti di cammino alla corsa, a -18 incontro Giampi e Bimbo gli amici dei “Maiali nel fango” conosciuti sulla nave, ci fermiamo un attimo a scambiare due parole e poi ripartiamo in direzioni opposte. Quando sono a – 12 km non riesco proprio più a correre, adesso i piedi mi fanno male solo a pensare di averli, non serve nemmeno usarli. Dopo quello che sembra un’eternità e una quantità di dolorosissimi tratti sabbiosi arriva l’asfalto, adesso sono a meno 5 i mantra che mi hanno accompagnato durante tutta la corsa si fanno più fitti, assillano anche la marcia, e, come in una tragedia greca, appare il Deus ex machina per salvare la situazione, a 4 km dall’albergo incontro altre due conoscenze della nave: Davide e Carlo, estremamente espansivi, si scherza e il secondo vuole assolutamente darmi un passaggio fino all’albergo: “Tanto ormai sei arrivato, e non lo sa nessuno!” – ma lo so io ed è abbastanza.
Niente soluzione alla tragedia, rifiuto dicendo che me la sono cercata e ha detto il dottore che devo morire fino alla fine; così sarà. Sono ormai Tra le case di Douz, mi fermo in un negozio a comperare una bottigliona di coca che sorseggio arrivando all’hotel 20 Mars. Sono le 17,15, il Luca non c’è, mi faccio una doccia e un pediluvio con il sale, documentato dal Luca al suo ritorno.
E’ fatta, oggi sono 55 km, i piedi sono sfatti, tra bolle e unghie che saltano è un vero casino, ma passerà. La soddisfazione è ai massimi livelli, l’autostima mi gonfia e l’orgoglio straborda. :smoked:
Sono contento come un bambino. :beer:
TOTALE 231 KM IN 4 GIORNI

Osservazioni:

EQUIPAGGIAMENTO: - Vestiario ok
- Ghette, elastico sulla caviglia e migliorare l’incollaggio del velcro sulle
scarpe
- Zaino, migliorare appoggio spalle e vita con gomma piuma
- Gavetta, fornello, meta e buste Coop evitabili, come la tenda
- Enervit GT, Enervitene Gel, miele pack e reintegratore indispensabili
- Frutta secca e fruttini validi
- MANCA IL CEROTTO DI SETA!!!
Ultima modifica di amay450 il 11 mag 2012, 11:26, modificato 2 volte in totale.
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Barbara
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Re: Diario di 4 giorni di corsa

Messaggio da Barbara »

Te lo dico con il massimo rispetto :hail: e la massima simpatia :beer: : sei matto :D

Grazie per questo bellissimo resoconto, fai vivere il deserto (non pensavo che fosse attraversato e "popolato" da così tanta gente :shock: ) e riesci a trasmettere emozioni da brividi! Un po' di paresi facciale è venuta anche a me leggendo le tue avventure :mrgreen: :thumleft: =D>
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"Ci sarà forse un giorno in cui mollare, ma di certo non è oggi."
"Come nella vita...mai mollare ne avere troppa fretta." - Miro 69
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RiccardoS
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Re: Diario di 4 giorni di corsa

Messaggio da RiccardoS »

davvero molto interessante, un resoconto preciso e dettagliato che dà un'idea di cosa può essere un'esperienza simile, come dice Barbara, fai vivere il deserto. ;)

personalmente poi, preferisco di gran lunga leggere storie come questa, che banali resoconti di popolari maratone.
complimenti e... buone corse! :D
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amay450
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Re: Diario di 4 giorni di corsa

Messaggio da amay450 »

Barbara ha scritto:Te lo dico con il massimo rispetto :hail: e la massima simpatia :beer: : sei matto :D

Grazie per questo bellissimo resoconto, fai vivere il deserto (non pensavo che fosse attraversato e "popolato" da così tanta gente :shock: ) e riesci a trasmettere emozioni da brividi! Un po' di paresi facciale è venuta anche a me leggendo le tue avventure :mrgreen: :thumleft: =D>

mi sono un po' lasciato trasportare dall'emozione e mi sembra di aver scritto troppo,
ma mi fa piacere di sentire che almeno non è noioso.

una cosa che vorrei sottolineare per non essere frainteso:

LA SICUREZZA E' IMPORTANTE E BISOGNA TENERNE CONTO VALUTANDO IL RISCHIO

il mio "tour" è il frutto di una discreta conoscenza prima dell'ambiente, poi della località
(non sono stato meno di 20 volte nell'area) e la scelta è ricaduta su questo francobollo di deserto perché,
pur avendo le caratteristiche ambientali necessarie le piste sono sufficientemente frequentate da
offrire garanzie di sicurezza sufficienti(quindi è una cosa voluta)

tutto si può fare ma dopo aver valutato ed accettato il rischio da correre

a mio modo di veDere hai lavorato bene di preparazione se hai poche sorprese!

IL MOTIVO DI QUESTA FILIPPICA CHE SARA' SICURAMENTE PALLOSA COME UTTI I BUONI CONSIGLI E' QUESTO:

NON VORREI ISPIRARE QUALCUNO A COMPIERE COSE SENZA AVERLE ORGANIZZATE E RAGIONATE PRIMA

E METTERSI IN PERICOLO PER AVVENTATEZZA

la preparazione e non solo fisica è importante, così si vince quasi sicuramente(se ci riesci hai vinto)

paolo
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Semper79
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Re: [DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa

Messaggio da Semper79 »

:shock: come la faccia che hanno fatto quelli che hanno avuto la fortuna di vederti correre...
Racconto spaziale, quasi da non credere!

Ciao
Semper79
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amay450
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Re: [DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

Messaggio da amay450 »

Per concludere la storia oggi ho finalmente perso l'unghia dell'alluce che mi rimaneva.
Spero di tornare a correre come tutti voi in pochi giorni
Appuntalapis

Re: [DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

Messaggio da Appuntalapis »

Un racconto epico, letto con partecipazione e stima! Grande!!! =D>

...sarei curioso di sapere quanti accidenti hai inviato a chi ti ha bevuto il thè :mrgreen:
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amay450
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Re: [DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

Messaggio da amay450 »

Appuntalapis ha scritto:Un racconto epico, letto con partecipazione e stima! Grande!!! =D>

...sarei curioso di sapere quanti accidenti hai inviato a chi ti ha bevuto il thè :mrgreen:
Ti dirò, probabilmente in Italia mi sarei un po' arrabbiato, ma immerso nel clima arabo
e ammansito da ore ed ore di mantra accompagnatori del mio cammino non ci ho dato
molto peso.
Soprattutto mi sono stupito, perché ho allungato la mano per prendere il bicchiere e
faticavo a realizzare: "l'ho lasciato perché troppo caldo da non riuscire a berlo, come
posso averlo bevuto senza rendermene conto?"
...anzi, mi sono sentito come quello che ci prova con il tunisino del bar, che invece è stato
gentilissimo e me ne ha offerto un altro oltre alla frutta.
I paesi arabi sono da provare, ritmi e reazioni differenti, secondo me i sposano bene
con i ritmi della corsa.
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amay450
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Re: [DIARIO] Diario di 4 giorni di corsa in Tunisia

Messaggio da amay450 »

non avevo nemmeno riletto dopo aver scritto di getto e mi sono reso conto
di non aver nemmeno scritto da dove sono partito, così ho rimediato inquadrando
un po' meglio la località.

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