Il runner, questa figura quasi mitologica. Tutti figli di Filippide, il primo runner senza pettorale e con un pacco gara da “infarto”.
Il runner lo riconosci dalle sue mille manie: dall’abbigliamento alle questioni di biomeccanica che nemmeno un laureato può vantare simile esperienza. Il runner è la cavia di se stesso perché prova tutto sulla sua pelle. Sa tutto e su tutto pensa di poter dire la sua. Sa tutto di scarpe: pronazione, supinazione, intersuola, tomaia, drop; conosce l’evoluzione di un modello di scarpa fin dalle guerre di indipendenza, pregi e difetti di qualunque calzatura, modello consigliato in base a peso, altezza, passo al minuto, circonferenza cranica e Q.I.

Il runner conosce a memoria gli ingredienti degli integratori anche se si farebbe volentieri una bella amatriciana fin dal ristoro dei 5 km e un amaro a quello successivo. Poi è un vero esperto di infortuni: metatarsalgia, sindrome della bandelletta, sciatalgia e mal di schiena di tutti i tipi, unghie nere e vesciche, tendiniti e borsiti, e pure tonsilliti e menopausa.
Sa tutto anche dei bagni chimici, che quelli a rullo sono meglio, che se quello prima di te tarda a uscire non è un buon segno, ma che quelli che li svuotano stanno peggio di te.

Per non parlare poi della dotazione tecnologica: geolocalizzatori manco stesse facendo la parigi-dakar, orologi da polso che contano anche quanti respiri fai e i capelli che perdi per strada, cardiofrequenzimetri, custodie per i-pod con i-pod annesso, applicazioni per smartphone che registrano vita morte (tante) e miracoli (...). Ma è anche un romanticone il runner e si incita a vicenda, si riconosce, stringe mille amicizie e, in gara, cede con indulgenza alla tentazione di perdere (ma anche di guadagnare) qualche secondo per ammirare un bel fondoschiena che razzola nei paraggi.

È anche un esperto di internet: conosce tutti i siti che parlano di podismo, spesso è anche iscritto a qualche forum in cui si è iscritto “così, per confrontarsi e trovare informazioni utili; perché sta iniziando a correre e vuole sapere se le scarpe che ha usato suo nonno possono ancora andar bene”; legge Albanesi e Pizzolato; ha fatto e rifatto il test del moribondo e la volta che è riuscito a superarlo ha fatto una festa con le ballerine cubane e le mondine piemontesi.

Ma l’aspetto più sconvolgente del runner (e che dà il titolo a questo intervento) è che continua ad accumulare in casa le cianfrusaglie che trova nei pacchi gara: piatti in pseudo-ceramica, servizi da caffè costati 22 km di bestemmie, integratori di ogni specie, calze a non finire e magliette che non indosserà mai; la casa inizia a riempirsi e in ogni angolo ha stipato asciugamani in microfibra e poncho antipioggia che sono buoni forse per andare a raccogliere lumache, occhiali da sole di infima qualità, merendine del discount, crostatine... il runner diventa la discarica di ridicoli pacchi gara ma soffre come un cane a disfarsene, gli sembra quasi di fare un torto alla fatica provata, quasi come rinnegare un figlio dopo i dolori del parto, e quindi se li tiene in casa finché questi strabordano da ogni dove.
E ci sarebbero mille altre cose da dire sui runner’s, sui suoi racconti quasi mitologici, sulle sue imprese eroiche, sulle trasferte che affronta per dire “io c’ero: 15esima arrampicata delle dolomiti olandesi”, ma mi fermo qua e la smetto di sparare cazzate che ognuno può benissimo continuare da solo e poi devo andare a raccogliere le tazzine da caffè della tre comuni che il gatto mi ha lanciato addosso da sopra l’armadio.
